L’aspirante papà qui è travolto dal lavoro, boccheggia e fatica a star dietro agli aggiornamenti, tanto più che il mese di giugno si sta rivelando una specie campo minato tra imprevisti, impegni e cose da fare. Non c’è molto spazio per la concentrazione e per il gusto del racconto, ma poco male, torneranno tempi migliori. Un po’ di sintesi, dunque.
Stefania – che in generale sta bene, è sempre molto serena sul fronte della gravidanza e ha chiesto di continuare a lavorare anche per buona parte dell’ottavo mese – è stata travolta l’altro giorno dalla notifica del trasferimento definitivo al centro per l’impiego di San Vito al Tagliamento, un paesino a 20 chilometri da Pordenone. Di fatto è una notizia positiva e attesa, anche se per un attimo è sembrato che potesse essere ancora migliore: perlomeno non corre più il rischio di finire isolata a una provincia da qui quando la Regione, con il consueto sprezzo per i suoi dipendenti, imporrà la mobilità coatta verso i rispettivi enti provinciali a lei e a tutti i suoi colleghi. Se tanto dev’essere, che sia Pordenone almeno.
Il trasferimento era nell’aria, ma non era atteso così presto, non prima della sua entrata in maternità quanto meno. Il che costringe la futura mammina a fare i conti con il suo ennesimo trauma da distacco da un lavoro che bene o male, come suo solito, si è fatta piacere. È il terzo in tre anni, in effetti. Mi fa una gran tenerezza vederla costruire per mesi un castello di carte fatto di dialogo, di buon senso e di incontri inaspettati, su cui un destino poco garbato decide di soffiare non appena lei si ferma un secondo per contemplare i risultati della sua fatica. Ma tant’è, la vita è un cerchio no? Allora anche questo avrà un senso.
Come se avesse davvero tutto questo tempo per pensarci, peraltro. La mammina-to-be continua a trovare corsi, corsini e corsetti in cui si tuffa con grande gioia, coinvolgendo in alcuni di questi un maritino compiacente ma ormai allo stremo della sua concentrazione. Se non ne dimentico qualcuno, al momento ci sono il corso nello studio del ginecologo, il corso del Consultorio, il corso in piscina (con annessi incontri di approfondimento), il corso di yoga preparto e canto carnatico e gli incontri di informazione nei reparti dell’ospedale. Questo si traduce in un’agenda piuttosto fitta di impegni, che spesso si sovrappongono tra loro. Dice: che cosa faccio oggi, vado in Consultorio e poi in reparto passando dalla piscina oppure rinuncio e prima di andare dal ginecologo faccio mezza lezione di yoga? Non le serve un marito, le serve un personal trainer.
Che poi l’aspetto più interessante di questi corsi, o almeno degli incontri a cui partecipo anche io, è quello umano. Mi diverte osservare le altre coppie, che in genere sono in preda a un’ansia incontrollabile, poco consapevoli di quello che aspetta loro e molto spesso di pessimo umore. Lei in genere ha l’orecchio selettivo: di un racconto piuttosto affascinante su come il corpo umano abbia previsto quasi tutto e si adatti in modo naturale per favorire il passaggio di un cocomero da un buco largo quanto una zucchina, lei riconosce soltanto le parole dolore, paura e anestesia. Lui esiste in quanto soggetto passivo, parcheggiato in un angolo a pensare agli affari suoi: capisci che è sveglio perché di tanto in tanto sbadiglia o digrigna i denti all’indirizzo della sua compagna.
L’altra implicazione è che tra le partecipanti più sveglie cominciano a circolare informazioni incontrollate sulle strutture più ambite in cui scodellare il proprio pargolo. Così, se finalmente avevamo risolto l’amletico dubbio tra la piccola clinica dietro casa e l’ospedale cittadino a favore di quest’ultimo, ora si apre seriamente la possibilità di finire i giorni della gravidanza a Oderzo, provincia di Treviso, ventisette chilometri da casa, dove leggenda tramandata di puerpera in puerpera vuole che l’ottimo reparto locale sia dotato di vasca per il travaglio in acqua e pareti colorate. In attesa di maggiori dettagli e dell’immancabile gita sul posto, il padre-wannabe rema sottilmente contro adducendo futili motivi ostativi, pur di non consegnare il suo pargolo alle ostili anagrafi venete. Lei fa altrettanto in senso contrario, provando a far ragionare l’irrazionale marito sul fatto che in pieno agosto, quando arriverà il momento di andare in ospedale con una certa solerzia, è molto più facile restare bloccati in un ingorgo sulla circonvallazione interna di Pordenone piuttosto che correre direttamente in un’altra provincia di un’altra regione su una delle strade più trafficate della zona. Dentro la pancia ho il sospetto che Giogiò si stia facendo un’idea abbastanza chiara sui suoi genitori.
Nel frattempo, pian pianino stiamo cominciando a preparare il nido di Giorgio. La stanza che per un paio d’anni è stata il mio studio è quasi svuotata e a giorni sarà ritinteggiata (in tinte che l’imbianchino dovrà miracolosamente riuscire a ottenere in base alle richieste di Stefania, alle obiezioni mie e a ciò che prevede la bibbia del feng shui con cui Stefi gira minacciosamente per casa da tempo, spostando pesci di terracotta da una camera all’altra). L’altro giorno abbiamo ordinato un mobile angolare e una cassettiera (…omissis le parti in cui lui parcheggia nei pressi del negozio più conveniente giusto sotto un cartello di divieto, bruciando in meno di mezzora lo sconto previsto…), oltre a una deliziosa fascia adesiva per il muro (che, sono certo, piacerà molto a Saretta). Da Bologna, poi, arriverà in prestito anche il lettino su cui sono già cresciute Claudia e Beatrice, le “cuginette” di Giogiò, e che a suo tempo fu amorevolmente riverniciato in giallo da babbo Mauro e zio Patrizio.
Infine, è ormai definito anche il nostro brevissimo e ormai imminente fine settimana vacanzoso. Insieme a tanti amici – e sul filo delle settimane di gravidanza entro le quali le compagnie aeree consentono di volare – andiamo ad Anversa a festeggiare il matrimonio di Giulio. Ma questa è un’altra storia, su cui torneremo.