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È andata così, stavolta (vista da lei)

Lo ha scritto Stefania il 16 agosto 2010 in Cuore di mamma2 commenti

Quella notte la luna non era piena, ma ce l’aveva proprio con me. Di mattina ero stata a fare i controlli di rito in ospedale e l’esperienza era stata così spersonalizzante e disumana che avevo dovuto camminare fino al fiume per recuperare il contatto con me stessa e con la mia pancia. Quasi ipnotizzata, mi ero messa a guardare la corrente verde bluastra e, ispirata dalle piante che si piegavano come piume e ondeggiavano tra i pesci, avevo coniato il nostro mantra: quando sarà il momento, esci come l’acqua.

Alle 3.20 di quella notte di luna, ecco l’inequivocabile stillicidio ostinato e un solo pensiero: nooo, Gea, nooo, non adesso! Chissà perchè, nella mia testa si era impressa a fuoco la data del 6 aprile (giorno in cui è nato il mio adorato nonno Gigi) come probabile giorno per il parto, e quel 24 marzo proprio non mi andava giù. Giusto il tempo di arginare l’arginabile e mi sono attaccata al telefono. L’ostetrica Luciana, nonostante la voce impastata di sonno, alle 4.30 era già a casa nostra, pronta a monitorare il battito e constatare la mia faccia sbigottita. L’inizio dell’avventura era stato uguale a quello di Giogiò, ma non mi aspettavo che tutta la faccenda fosse proprio una fotocopia… o quasi.

Giò si sveglia, gioca con Luciana, va a scuola allegro e sereno. E io mi dico: bene, ora ci siamo. E invece seguono ore vuote, fatte di chiacchiere, letture, divertenti ancheggiamenti sulla palla da parto, passeggiate sotto il sole, fiorellini raccolti a caso, un passaggio in latteria (dove la voce si sparge a macchia d’olio), monitoraggi che rilevano che non succede nulla di rilevante e massaggi shatsu alla caviglia. L’espressione di Luciana si fa sempre più severa e alle 5 io pasteggio speranzosa a thè, biscotti e olio di ricino, constatando – di nuovo – come quest’ultimo sia un ottimo burro cacao. Dopo l’ennesimo controllo, l’ostetrica scrolla la testa e quasi a minacciarmi dice che, se non succede niente nelle prossime ore, dovremo andare in ospedale. A quel punto ribatto che tutto dipende da lei, che io non decido un bel niente, che gli ormoni sono messi in circolo dal bimbo, non dalla mamma. Luciana mi guarda e, con l’aria di chi la sa lunga, ribadisce che questa cosa la decido io.

Mah… Sta di fatto che prendo il libro che stavo leggendo in quei giorni (La comunicazione e il dialogo dei nove mesi di Gabriella A. Ferrari), mi ritiro in camera e la mano sceglie sicura un capitolo a caso: quello, chissà perché, dedicato all’ottavo mese di gravidanza (aveva molto più senso scegliere il nono, o il capitolo sul parto). Lo sguardo mi finisce sul passaggio che dice: «Tu, dal canto tuo, vivi alterni stati d’animo in cui al desiderio che la gravidanza finisca, potrebbe capitare che talvolta si sovrapponga una sorta di tristezza al pensiero che essa stia realmente terminando» e scoppio in un lungo singhiozzo liberatorio. Touché!

E continua: «In realtà, lungo tutto questo cammino, tu non sei e non sarai mai sola: tuo figlio, che ora stai contenendo ed abbracciando internamente con braccia di luce, continuerà ad essere con te, ed a restare abbracciato a te, per tutto il percorso, finché dal tuo addome passerà al contenimento delle tue braccia reali». Io soffoco i latrati mentre la Ferrari affonda il coltello con un «Non è la prima volta che la vita ti propone delle situazioni nuove! Pensa a quante ne hai affrontate e superate nel passato! Ognuna ha fatto scaturire dal profondo di te delle forze che non sospettavi neppure di avere, o che dubitavi di possedere, ognuna ti ha resa più forte, accrescendo le possibilità espressive e le capacità del tuo potenziale energetico».

E continua con il pezzo forte, un concentrato della mia filosofia di vita, un lenimento per quella ferita che aveva aperto qualche paragrafo prima: «Uno degli aspetti più importanti di questa prova iniziatica consiste proprio nell’oltrepassare i propri limiti (…). Consiste nell’apprendimento di un’accettazione. Accettare l’idea di essere sempre al posto giusto, di stare vivendo le esperienze più idonee a favorire la nostra crescita spirituale e che tutto ciò che ci accade è voluto (…) sia per aumentare la nostra felicità terrena che per aiutarci a sciogliere dei nodi profondi che ci incatenano alla sofferenza. (…) Il parto, in questo senso, è una delle più importanti esperienze della nostra vita, assieme a quella della morte. Entrambe hanno in comune la caratteristica di doverci affidare, per poter superare con serenità una soglia oltre la quale c’è un’ignota trasformazione, un cambiamento, l’inizio di un altro modo d’essere e di vivere».

Ecco qui, penso, ancora prima di nascere, questa bimba mi sta insegnando una lezione, la più grande di tutte. Anche se speravo di tenerla dentro di me e coccolarla ancora per un po’, anche se due settimane di anticipo sulla data presunta del parto mi sembrano un’enormità, devo farmene un’idea. Eppoi che madre sarei se non le insegnassi l’accettazione gioiosa di tutto ciò che accade se adesso non accettassi di lasciarla andare? Come potrei un domani pretendere che lei non faccia una tragedia di ogni distacco – come accade a me – se io ora non accetto il suo distacco da me? Tirando su col naso, con gli occhi gonfi e arrossati, torno in salotto con Sergio – che, nella sua estrema sensibilità e profonda conoscenza di come sono fatta, si era accorto dei miei sospiri sospetti ed era venuto a vedere se per caso non avessi sciolto qualche nodo – e annuncio che forse qualcosa si è sbloccato.

Giorgio torna a casa dopo aver giocato e cenato coi nonni e alle 9.30 di sera lo saluto dissimulando i crampi “giusti”. Tutto è molto più veloce e concitato che nel primo parto, ma io sono molto più consapevole di cosa seguirà e la respirazione profonda funziona a meraviglia. Quando il tavolo non è più un appoggio sufficiente, mi metto a quattro zampe sul divano, ricordando che quella era la posizione che trovavo più comoda la volta precedente. Stavolta però non riesco a stare dritta e mi viene da ondeggiare col bacino. Luciana mi visita e mi chiede se per caso non mi sento di stare in posizione asimmetrica; mi spiega che la bimba non è posizionata proprio perfettamente e che, muovendomi, l’aiuto. Io mi stupisco ancora una volta di quanto l’istinto sia un faro in questa circostanza (e non solo…) e ancheggio come già mi sentivo di fare.

Con la coda dell’occhio vedo la piscinetta che Luciana ha sistemato in salotto dopo che Giogiò è andato a nanna e le chiedo, con un sospiro, “In acqua proprio no?”. Lei riempie la piscina e, in un batter d’occhio, ci salto dentro. Dopo qualche contrazione le ginocchia iniziano a farmi male e Luciana mi suggerisce di stendermi su un fianco, sostenendomi al bordo della piscina. Così, respirando ad arco come avevo imparato al corso di nuoto preparto (4 secondi per l’inspirazione, 8 per l’espirazione, poi 3-6, 2-4, 1-2 quando la contrazione è al culmine, poi di nuovo 2-4, 3-6 e 4-8) so che la contrazione viene e va (psicologicamente aiuta tantissimo), come un’onda che sospinge la zattera in cui ci troviamo Gea e io sempre più vicino alla riva. E con tre A-O-U-MMM (il suono che aiuta, il suono più profondo e più antico del mondo) nasce Gea, la creatura dalle dita affusolate e lunghissime e le orecchie a tortellino che a cinque giorni si guardava già le mani.

Dopo essermi goduta a lungo quel corpicino viscido e tenerissimo con un abbraccio che spero non finisca mai, Sergio mi ricorda le parole con cui abbiamo accolto Giorgio quando è nato e io gliele sussurro tremante e quasi smarrita. Anche la placenta con un “aoumm” è fuori e la esploriamo ammirati con l’aiuto di Luciana, che ce la descrive a ragione come un albero. Non è più il caso di tenere Gea nell’acqua, sempre più tiepida. Anch’io esco e inizio a battere i denti talmente forte che penso me li frantumerò. È strano, ma non ho ricordi del taglio del cordone ombelicale, né di aver mai lasciato Gea un attimo. Quello che ricordo è lei attaccata al mio seno e il suo odore inebriante… e la visita in cui Luciana mi dice che non c’è ombra di lacerazione, solo un’abrasione da curare con qualche sciacquo a base di echinacea e calendula. A quel punto il mio unico pensiero è dove posizionare l’altare per la Madonna e quanto io sia fortunata ad aver vissuto il parto dei miei sogni – in acqua e a casa! – con i miei odori, colori e sapori, e soprattutto i miei tempi.

Ancora oggi sento che il legame con Gegé è speciale, che è un dono che la vita mi ha fatto per la mia crescita, una persona che mi sembra di ricordare da vite lontane e con cui finalmente sono stata ricongiunta. È difficile da spiegare, so solo ringraziare quella visita dal ginecologo che mi ha messo fretta nel realizzare il sogno di avere un altro figlio. E quel marito con la M maiuscola che, con la sua pazienza e il suo incrollabile sostegno, rende questa esperienza ogni giorno più bella, condividendo con me i giorni più impegnativi e degni di essere vissuti che mai potremo avere.

Crampi al seno: corsi e ricorsi storici

Lo ha scritto Stefania il 25 maggio 2010 in Cuore di mamma0 commenti

Solo alla mia seconda gravidanza ho trovato la risposta al perché dei crampi al seno che mi hanno tormentato intorno al primo mese di Giogiò. Un possibile motivo l’ho trovato leggendo il libro “Dopo la nascita del bambino” di Robin Lim, un’ostetrica balinese che mi conferma la stima per le ostetriche e l’amore per Bali e la sua meravigliosa cultura.
La Lim parla di quei dolori dicendo che ne possono soffrire neomamme portate a riprendere subito le abitudini di sempre e “che danno troppa attenzione all’esterno”. Il rimedio? Riposarsi di più.

Move on baby

Lo ha scritto Stefania il 21 gennaio 2010 in Cuore di mamma1 commento

Non ho una bimba in pancia, ma…un frullatore!!
Viste le premesse arzille, spero solo che non ascolti troppo presto le invocazioni del fratellone Giogiò, che le dice “Esci, Trecisasman!”…

Saggezza o impertinenza?

Lo ha scritto Stefania il 7 novembre 2008 in Cuore di mamma0 commenti

Poco fa cercavo di addormentare il mio Bubi, quando lui mi allunga le braccine al collo con un poco credibile “Paùa buio!”. Lo prendo su, gli racconto la storia di “Topina e il buio” e continuo a parlargli suadente di tutte le cose belle che ha fatto oggi e di tutte quelle che sognerà.

Ad un certo punto lui bofonchia un assonnato “Basta parlare…”. Ma come, alla sua mamma? Me lo sono fatto ripetere tre volte, non sapevo se offendermi o gioire ;-)

Ma poi che bello godersi un’ora di pc indisturbato mentre lui dorme stecchito!

Che dire?

Lo ha scritto Stefania il 18 luglio 2008 in Cuore di mamma1 commento

Due episodi.

L’altro giorno Sergio era andato a Milano con il treno delle 6. Io, affannata, dico a Giogiò: “Amore, sbrigati, devo andare al lavoro! Ci sono i tati che mi aspettano…” e lui, puntandosi il ditino al petto: “Io tato!”. Senza parole.

Stamattina dò una fetta biscottata a Giogiò. Lui lecca la marmellata di fragole e mirtilli e ad un certo punto si ferma perplesso e dice “Mamma, NEO!”. Era un mirtillo!

Praticamente un lazzaretto

Lo ha scritto Stefania il 22 agosto 2007 in Cuore di mamma0 commenti

Ferragosto, si sa è un ottimo giorno in cui aver bisogno di consulti medici. Sapendolo, Giogiò ha festeggiato con un bel febbrone e il destino, per non far sentire solo il nostro cucciolo, ha pensato bene di dispensarne una generosa dose anche al papà, con tanto di gola infestata. La mamma se l’è asciugata in due giorni e ora guadagna il pane e fa l’infermierina, ma ai due uomini di casa non è andata così liscia e sono ancora alle prese con virus e batteri.

Ai nonni comunichiamo ogni giorno il bollettino medico dal sanatorio. Finora, tra i reparti Pediatria e Geriatria, abbiamo collezionato, in ordine: febbre, influenza intestinale, giramenti di testa, vomito, congiuntivite, sensazione di ossa rotte, placche in gola, tosse e abbassamento di voce. Ci mancano solo le zecche e poi siamo al completo!

L’ingrediente segreto

Lo ha scritto Stefania il 18 febbraio 2007 in Cuore di mamma1 commento

L’altro giorno ho preparato la torta Primavera. Giogiò ha fatto da assistente cuoco, assaggiando tutti gli strumenti di lavoro. Il dolce è venuto delizioso: dovrò dirlo a chi mi ha consigliato la ricetta che la leccatina di cucciolo sulla terrina è un elemento essenziale per renderla speciale!

Giogiò e il morso della cicogna

Lo ha scritto Stefania il 28 gennaio 2007 in Cuore di mamma2 commenti

Durante l’ultimo degli utilissimi incontri al consultorio, ho appreso due cose interessanti.

La prima è che è più che normale che verso i 5-6 mesi il bimbo abbia un rallentamento momentaneo della crescita, tipo aumentare di soli 40-90 grammi in una settimana.

La seconda è che il nostro “barattolino di pelucchi” non ha, sulla nuca, un’irritazione dovuta al caldo come pensavo, ma un innocuo angioma che sparirà da solo con l’ispessimento della pelle. Di solito questo fenomeno può comparire anche fra le sopracciglia. Ma solo quello sulla nuca ha il romantico nome di “morso della cicogna”. Senz’altro, nel nostro caso, si tratta di quella che volava sulle nostre teste alla fine del matrimonio dei nosti amici Federica e Simone!

Una personcina che ti cambia la vita

Lo ha scritto Stefania il 26 gennaio 2007 in Cuore di mamma0 commenti

Il nostro cucciolino, da piccolo tubino digerente, sta diventando una continua sorpresa. So per certo che non mi pentirò mai del tempo passato accanto a lui e, ogni qualvolta devo occuparmi di qualche emergenza improrogabile, sento distintamente che l’unica cosa che voglio veramente è stare con lui. Oddio, sto diventando una mamma-chioccia? AAHHH!

L’importante è che nessuno si sogni mai di soprannominare Giogiò con l’espressione che avevano usato con me alla sua età (mia madre ne va fiera) , “il codino della mamma”!

Piedino…tte

Lo ha scritto Stefania il 12 gennaio 2007 in Cuore di mamma0 commenti

Stamattina, durante il cambio delle cinque, Giogiò ha definitivamente scoperto i suoi piedini. Ha incurvato la schiena, alzato le gambine e tac!, il contatto è avvenuto. Io l’ho guardato estasiata e divertita al contempo. Ero anche stremata, ma a quel punto non mi importava più che fosse la seconda volta che si svegliava nel cuore della notte.

Praticamente una giungla

Lo ha scritto Stefania il 30 dicembre 2006 in Cuore di mamma2 commenti

Al momento il mondo di Giogiò è popolato da, in ordine di comparizione:

– Uga la Tartaruga che ci aiuta a misurare la temperatura dell’acqua e fa il bagnetto con lui ogni sera;

– Prugna la Spugna, che credeva di nascere vegetale e invece si è ritrovata ad essere una spugnetta che crea tante cascate magiche per Giogiò;

– ultimamente si è aggiunta anche Lella la Paperella, che nuota beata inseguendo Uga e Prugna. La gara tra le tre è ancora aperta e ogni sera assume nuovi risvolti impensati grazie a mosse astute delle tre concorrenti;

– il Natale ha arricchito la galleria con Rennata, la Renna appunto. Fedele compagna di Babbo Natale, è una marrone naturale sbaciucchiona i cui anni non si contano più, essendo l’assistente di Santa Claus sin dall’inizio dei tempi. Gira con il naso rosso e la sciarpa al collo, che non si sa mai;

– Ippo-Ippo è l’Ippocampo colorato e caciarone, che ha il musetto che ricorda la tetta della mamma, dato che finisce sempre ciucciato da Giogiò;

– Nannoso lo stiamo ancora studiando. Per ora ci sta accanto nel lettino, ma non si è ancora capito come faccia a suonare e illuminarsi;

– Dodo è il vecchio amicone della nanna: Giogiò lo guarda e si tranquillizza quando viene adagiato nel lettino dalla mamma;

– L’Orsacchiotto Lunatico suona per noi la sera. Indossa sempre il pigiamino prima di noi (ma quando se lo metterà?) e un buffo cappello da notte. Ci aspetta a cavalcioni sulla luna gialla a stelle verdi e ci delizia con una musichetta dolce dolce;

– la Giostrina degli ortaggi e della frutta è la nostra preferita: quando ci svegliamo stiamo per interi minuti a fissare, alternativamente, l’ananas e la carota. La differenza tra i due è sottile e per ora ancora ci sfugge, ma presto la capiremo appieno;

– appeso alla carrozzina c’è un sole con le apine e gli orsacchiotti di nonna Silvia, tutti impettiti col fiocchetto al collo e che alle volte mostrano le terga a Giogiò… chissà cosa vorrà dire?

– il sisìn di nonna Laura è il calmante delle situazioni estreme e apparentemente irrecuperabili, con le sue tre campanelle colorate e rumorosissime e lo stelo lungo lungo. Ovviamente neanche queste sfuggono alla ciucciata quotidiana;

– Ettore, il bambolotto di zia Gioi, lo stiamo ancora studiando; si sa solo che fa gran discorsi con accento bolognese;

– Lalla la Palla è dovuta finire in lavatrice tanto è stata usata e non si sa se la mamma avrà pietà di lei, visto come ha conciato le ultime cose che ha “lavato”. Speriamo non voglia buttarci anche Giogiò!

Venti cose che nessuno dice mai

Lo ha scritto Stefania il 10 novembre 2006 in Cuore di mamma16 commenti

È tragicamente vero che un bimbo non nasce munito di libretto di istruzioni. Non c’è nessuno – per quanto tutti ci provino o pensino di farlo – che ti dica come prepararti per il grande giorno del parto o come affrontare le urgenze quotidiane del dopo, quando sembra che il tempo per se stessi sia stato inghiottito in un buco nero e ogni mossa del pargolo sia un’emergenza nazionale. In questi ultimi dodici mesi (nove di gravidanza e tre con il nostro mezzo metro) sono praticamente sopravvissuta a suon di passaparola, salvata dalle dritte di amiche stupende o di un’ostetrica che sa il fatto suo.

Essando arrivata viva al traguardo dei tre mesi e avendo avuto una gravidanza e un parto che meritano un cero di ringraziamento alla Madonna, mi sento di tirare due somme e fare un riassunto delle cose che ho trovato preziose o anche solo utili fino ad oggi, anche alla luce di quattro corsi preparto (di yoga, di nuoto, dal ginecologo e al consultorio). Così, io le butto là.

– Frequentare un corso in piscina di preparazione al parto il più presto possibile per allenare la muscolatura, sciogliere le tensioni, sentirsi nello stesso elemento liquido in cui si trova il frugoletto, apprendere a spingere sia trattenendo il fiato (come vogliono che si faccia in ospedale) sia espirando (come sarebbe raccomandabile per una dilatazione più dolce), interiorizzare la respirazione “ad arco” (8 tempi di inspirazione e 4 di espirazione, poi 6 e 3, 4 e 2, 2 e 1 e viceversa, seguendo le future contrazioni nel picco del 2-1 e recuperando le forze durante i tempi lunghi)… e perchè è difficile che ti ricapiti di poterlo fare in futuro!

– imparare a visualizzare, anche grazie a un corso di yoga. Ciò significa che, specialmente se, come me, non si desiderano epidurali o altri interventi medici, durante le eventuali fasi impegnative del parto si sarà in grado di estraniarsi pensando alle contrazioni come onde che si infrangono sulla battigia (come appunto sarebbe opportuno indicarle secondo Leboyer), sentirsi immerse in piscine tropicali o su montagne innevate;

– usare fin dagli ultimi giorni di gravidanza le coppette paracapezzoli d’argento, tuttora le mie migliori amiche. Completamente diverse da quelle di silicone, stoffa o plastica, preparano il capezzolo dandogli la forma che dovrà avere durante l’allattamento ed evitano che un rossore o un’irritazione diventino ragadi o altro, grazie alle loro proprietà antisettiche e disinfettanti (costano parecchio di più, ma valgono ogni centesimo);

– massaggiare il seno prima del parto (sotto la doccia con un guanto di crine, o dopo con un asciugamano e poi con olio di mandorle, torturandolo un po’ per cercare di renderlo più resistente, sempre che non ci siano avvisaglie di parto perchè stimolare il capezzolo aiuta la produzione di ossitocina, l’ormone che provoca il travaglio) e dopo il parto (sempre con olio di mandorle, per evitare smagliature e, con la montata lattea, per evitare ingorghi di latte);

– procurarsi la tintura madre di echinacea e calendula per fare impacchi o sciacqui con acqua per rinfrescare e cicatrizzare la parte in cui siano stati dati punti di sutura (nel mio caso dovuti al fatto di non aver potuto scegliere la posizione in cui partorire, anche visto che siamo arrivati in ospedale venti minuti prima che Giogiò uscisse!). Utile anche preparare delle garze sterili imbevute di qualche goccia di olio, essenza di lavanda e tintura madre di calendula da mettere… lì dopo il parto;

– fare massaggi con il famoso olio per il perineo durante le ultime settimane di gravidanza;

– fare ginnastica quotidiana per favorire l’allargamento del bacino e l’elasticità dei muscoli delle gambe, in primis l’esercizio di accucciarsi sui polpacci tenendo i talloni a terra, come spiegato nel “Manuale del parto attivo” di Janet Balaskas;

– lavorare fino all’ultimo, se si può e si riesce, così la testa resta occupata e non elucubra pensieri strani e si ha più tempo dopo per stare con il cucciolo, che è l’unica cosa che si ha voglia o modo di fare;

– leggere solo libri positivi e rassicuranti, possibilmente scritti da ostetriche (fra tutti, io consiglio “Venire alla luce e dare alla vita” di Verena Schmid, “La gioia del parto” di Ina May Gaskin e “L’arte del respiro” di Frédérick Laboyer);

– continuare a mangiare un po’ di tutto – salvo controindicazioni per scongiurare toxoplasmosi o altro, ovviamente – cosicchè il baby riconoscerà e apprezzerà più gusti e sapori durante l’allattamento;

– chiamare un’ostetrica di fiducia che ti stia accanto perlomeno durante il travaglio (se non si opta per il parto in casa, che oggi vedo come la miogliore alternativa in assenza di “case del parto” in zona). A tal proposito, non ringrazierò mai abbastanza Barbara per la sua discreta presenza, i validi consigli e il paziente supporto che mi/ci ha dato;

– non fissarsi sul volere il parto in acqua (come avevo fatto io), perchè in quel momento hai bisogno solo di avere persone positive accanto e tanta concentrazione;

– prima di stimolare il parto con ossitocina artificiale o prostaglandine (il famoso gel) usati negli ospedali, dare una chance all’olio di ricino. Al contrario delle ostetriche, i medici dicono che non c’è alcuna evidenza scientifica (né, per contro, alcun effetto collaterale), tuttavia la mia vicina di letto, oltre termine alla quarantaduesima settimana, ancora mi ringrazia di averle passato sottobanco la mia boccetta di olio;

– respirare “a cagnetto” (avete presente?) quando ti dicono di non spingere perchè la dilatazione non è ancora sufficiente, specialmente se ci si trova in macchina in corsa verso l’ospedale o nel lentissimo ascensore della clinica!

– stare ferme e soprattutto supine durante il travaglio è il modo migliore per sentire dolore e rallentare il tutto. Allora, che fare? Camminare, far ondeggiare il bacino, scambiare quattro chiacchiere con il marito e appoggiarsi a lui quando serve…

– cercare, durante il parto, di rilassare i muscoli della bocca (direttamente collegati con il perineo) ridendo, cantando, muggendo (sì, avete letto bene), ululando…

– visualizzare il perineo che si apre e ripetere un mantra tipo “divento enorme, mi apro come il burro…” o altro;

– fare impacchi caldo-umidi o impacchi di ricotta, quest’ultima debitamente lavorata con un cucchiaio e non applicata a blocchi come invece ho fatto io (la famosa “tettonica a zolle”!). I primi sono utili per disinfiammare il seno dolorante se la montata lattea è improvvisa e troppo abbondante. I secondi possono alleviare strani dolorini quando nessuno sa capirne la causa  (ovvero una volta escluse mastite, candida ecc.);

– se il latte scarseggia o si teme che cali, prima di ricorrere alle famose aggiunte, provare con la tisana di galega (detta anche “erba mucca”, guarda caso), solitamente unita a cumino, finocchio, fieno e anice, tutti ingredienti che aiutano a evitare le coliche per il bimbo e rendono piacevole il gusto. Utilissimo è anche un massaggio shatsu: pare strano, ma può persino stimolare la produzione di latte;

…ma soprattutto non sentirsi né comportarsi mai come se la gravidanza fosse una malattia!

Te lo leggono negli occhi

Lo ha scritto Stefania il 19 settembre 2006 in Cuore di mamma1 commento

Mese 1, la quiete dopo la camomilla

Ieri ho provato sulla pelle quanto sia difficile lasciare che il tuo bimbetto strepiti e pianga senza prenderlo in braccio per consolarlo o, ancor più, accontentare le sue richieste. Forti del consiglio della pediatra (una Margherita Hack della puericoltura) e con l’intento di depurare l’intestino intasato del nostro sbrisolino (che mangia come un lupo siberiano), abbiamo sostituito un pasto con un biberon di camomilla. Non l’avessimo mai fatto! Per il nostro cucciolo, che fa del piacere della poppata un’arte, è stato un affronto gravissimo.

E’ stato solo alla seconda dose che mi sono convinta della giustezza di ciò che stavamo facendo. Lui, che è una spugna, me lo ha letto negli occhi e, mentre gli spiegavo che era per il suo bene e non una tortura pianificata con cattiveria, ha ciucciato senza tante storie (seppur non convinto) il liquido giallino e dopo qualche minuto era placidamente addormentato sulla sdraietta, con l’aria soddisfatta.

Mentre lo guardavo non credendo ai miei occhi ho pensato quanto sia difficile il mestiere di genitore e quanto sia importante credere in quel che si impone. Ora che l’ho capito…qualcuno mi presta dei tappi per le orecchie? 

La catena di Cucciolino

Lo ha scritto Stefania il 23 agosto 2006 in Cuore di mamma0 commenti

Nei momenti più intensi, quelli che mettono alla prova i timpani più che il sistema nervoso, da quando è comparso il nuovo esserino in casa si attua una strana serie di catene.

La catena alimentare: io nutro il Cucciolino, Sergio nutre me, ovvero mi taglia la bistecca e mi imbocca.

La catena delle coccole: Sergio culla Giogiò cercando di calmarlo e io sbaciucchio il paparino

…e via dicendo. Mi sembra un buon modo per chiudere il cerchio e dividere i compiti!

 

Cosa può fare un bimbo nato quasi sull’erba

Lo ha scritto Stefania il 16 agosto 2006 in Cuore di mamma2 commenti

Il nostro fagottino ha 10 giorni e solo oggi sono riuscita a disfare la valigia che avevo preparato per l’ospedale. Questo semplice gesto mi è sembrato l’ennesimo addio ad un periodo magico, immaginato prima e accarezzato e preparato poi con cura per nove lunghi mesi.

Oltre ad un inevitabile velo di malinconia (il pancione lascia il segno, in senso metaforico!), quello che mi resta e risuona dentro è un grande senso di gratitudine verso il Cielo, il Destino e Sergio, naturalmente, che mi è stato sempre vicino, per aver potuto vivere questa bellissima avventura in un modo tanto personale, intimo e sereno. Ora che stringo tra le braccia questo miracolo di cui sono già perdutamente innamorata, mi chiedo come sia potuto capitare proprio a noi una simile fortuna e gli sussurro piano di avere pazienza e che speriamo di aiutarlo a realizzare la missione che gli è stata assegnata in questa vita.

Non mi sembra vero di poter confermare che il parto può essere un passaggio intenso, di crescita, pieno di soddisfazioni e che permette di mettersi alla prova e fare tesoro di tutto quello che si è appreso prima, ma soprattutto il frutto di un carattere e di un modo di vedere le cose che ci contraddistingue giorno per giorno. 

La crisi post-partum esiste, è questione di ormoni. La mia è iniziata in ospedale, quando già pensavo di iniziare un nuovo capitolo a casa e invece Giogiò ed io abbiamo dovuto passare una notte in più lontano dal papà. Uno scambio di messaggini particolarmente teneri mi ha fatto singhiozzare nel buio, grata per tutto quell’amore che un cuore solo non riusciva a contenere e convinta di dover assaporare ogni istante prima che passasse, poichè non sarebbe tornato più.

E’ continuata il giorno successivo, in ascensore, lasciando quelle stanze che per prime hanno visto Giogiò affacciarsi alla vita e ogni porta che chiudevo mi strappava una sorta di addio, che mi bruciava dentro. Poi è stata la volta di Sergio e del suo regalo pazzo, ma ancor più del bigliettino che l’accompagnava – e giù lacrime.

Infine, il taglio del cordone ombelicale di Giogiò non mi ha dato l’idea di distacco che la frase dell’ostetrica suggeriva (“Vai, ora respira senza la mamma!”). E’ stato il cadere dell’ultimo pezzettino, giorni dopo, a darmi la sensazione che quell’uccellino stesse volando da solo, senza il mio aiuto, fuori da me – ed è stato il colpo di grazia. 

Ma anche per questa “crisi” bislacca sono grata al Cielo, per non avermi fatto temere invece, come spesso accade, di non essere una buona madre o avere chissà quale altro pensiero negativo.

Insomma, a dispetto del sorriso incredulo e di scherno con cui una carissima amica ha letto il titolo del libro di una ostetrica americana che ho sentito come una grande amica in questo viaggio (Ina May Gaskin, “La gioia del parto”), posso confermare che quest’esperienza può essere un momento stupendo, in cui ogni emozione e sensazione ha un senso e porta nella direzione giusta, se la si asseconda leggendola per quello che è.

Resta ora da discutere sul titolo di una brochure ricevuta al consultorio: “Le gioie dell’allattamento”…ehm, ne vogliamo parlare?