Lilypie Kids Birthday tickers Lilypie Fourth Birthday tickers

Ance io (a prescindere)

Lo ha scritto Stefania il 14 agosto 2012 in Sguardi di bimbi0 commenti

Amichetta di Giorgio, 5 anni: “Io ho imparato ad andare in bici senza le rotelline a 5 anni!”

Giorgio, 6 anni: “Anche io ho imparato a 5 anni”

Gea, 2 anni: “Ance io ho palato a 5 anni!”

Sei

Lo ha scritto Sergio il 6 agosto 2012 in Sguardi di bimbi0 commenti

E poi, tutto d’un tratto

Lo ha scritto Sergio il 29 luglio 2012 in Sguardi di bimbi0 commenti

Una storia pulita pulita

Lo ha scritto Sergio il 26 maggio 2012 in Giorgio0 commenti

- Mamma, vuoi sapere come si dice “c’era una volta” in inglese?

– Come si dice, Giorgio?

Uàn sapòn a tàim.

– Beh…

– Sì, ma perché il sapone, mamma?

Un diploma in famiglia

Lo ha scritto Sergio il 25 maggio 2012 in Giorgio0 commenti

Buona Pasqua a tutti!

Lo ha scritto Sergio il 6 aprile 2012 in Sguardi di bimbi0 commenti

Tati guiii aaa teee

Lo ha scritto Sergio il 24 marzo 2012 in Cuore di papà2 commenti

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Il giorno del vostro matrimonio

Lo ha scritto Giorgio il 24 marzo 2012 in Sguardi di bimbi0 commenti

Poi hanno inventato i colori

Lo ha scritto Sergio il 23 marzo 2012 in Sguardi di bimbi0 commenti

Dai nonni Giorgio ha visto Il circo di Charlie Chaplin. Tornando a casa ci rimugina su.

– Papà, ma una volta era tutto in bianco e nero?

– I film, dici? Sì, una volta i film erano erano tutti così, poi è arrivato il sonoro e più tardi ancora il colore.

– No, ma io dico tutto, il mondo: era tutto in bianco e nero?

– No, Giorgio, il mondo è sempre stato a colori come lo vedi oggi. Era il cinema che non era capace di registrare i colori.

(poco convinto) Ah.

Bolle!

Lo ha scritto Sergio il 17 marzo 2012 in Sguardi di bimbi1 commento

Bolle!

Quella faccenda complicata del contesto

Lo ha scritto Sergio il 17 marzo 2012 in Sguardi di bimbi0 commenti

Incontriamo una vicina di casa.

– Tào!

– Ciao!

– Oh, buongiorno! Ma guardali questi due bimbi, ma che carini, ma che bravi, ma che dolci, ma che simpatici, ma che teneri! Ma guardala questa bimba con gli occhiali da sole! E tu, Giorgio, ma come stai bene con i capelli corti. Ma siete sempre così splendidi, chissà come saranno contenti mamma e papà?!

– In verità papà dice che siamo dei teppisti rompiballe.

– Ah.

– Eh.

– Tào!

Amiche famose

Lo ha scritto Sergio il 15 marzo 2012 in Sguardi di bimbi0 commenti

- (canta) … dov’è la vittoria, le porga la chioma, ché schiava di Roma FABIOLA creò!

– …

– …

– …

– Papà?

– Sì, Giorgio?

– Ma Fabiola cosa c’entra?

L’inglese non è contagioso

Lo ha scritto Sergio il 5 marzo 2012 in Sguardi di bimbi0 commenti

Stefania va a prendere Giorgio a scuola. Mentre escono insieme ad alcuni compagni, le suona il cellulare e si intrattiene per qualche minuto in conversazione con un’amica inglese. Sentendola parlare con lingua e accento stranieri, un amico di Giorgio si ferma a lungo a osservarla sgranando gli occhi. Poi si rivolge a Giorgio: «Ma tu e la tua mamma parlate inglese quando siete a casa?». «Noo, io sono normale».

 

Ottavo non mentire

Lo ha scritto Sergio il 8 febbraio 2012 in Sguardi di bimbi0 commenti

- Allora, Giorgio, stamattina sei stato bravo e collaborativo con la mamma, come ti avevo chiesto?

– Beh… (pausa) Meglio che potevo!

So dire tante cose (ora tocca a me)

Lo ha scritto Gea il 9 gennaio 2012 in Sguardi di bimbi0 commenti

Vocabolario essenziale per avere a che fare con me, che mio fratello era un dilettante in confronto.

Bàmba = ti prego, avvicinami il bavaglino che vorrei evitare di sporcarmi (in alternativa, a seconda del contesto: e ripigliati ‘sta bavaglia, che ho finito; oppure non ho finito affatto, ma sporcarmi è diventata un’opzione oltremodo interessante).

Bùm = è caduto, l’ho lanciato, ha fatto rumore (divertente, ‘spetta che lo rifaccio, magari più forte).

Bvìa (o anche ‘namo) = cielo, non sembra anche voi che si sia fatto tardissimo? Orsù, genitori, andiamocene, procediamo, andiamo via di qui. Via via, andiamo via.

Babài = bye bye, ciao, te’ssaluto, non ho nient’altro da aggiungere, me ne vado, stammi ‘bbene.

Chèllo = quello, proprio quella cosa là, quella che hai messo lontano perché io non ci arrivassi: la desidero ardentemente, vorrei che entrasse in mio possesso immantinente. Quello ho detto! (ma come non capisci quale, va’ che sei proprio lento eh?!).

Chètto = questo, voglio proprio questo, inutile che ci provi con chello, io è questo quello che voglio, non fare il finto tonto, genitore, esaudiscimi per favore sennò urlo.

Cìccì-o = dopo il tlà-tlé, di cui guarda caso è derivato, è la mia grande passione. Il formggio: ne mangerei in continuazione. Avete mica del ciccì-o, già che siamo?

Còa (in versione evoluta: a-còa) = di tutte le parole che ho imparato, ho capito che questa è la più importante di tutte: ancora, ancora, ancora. Sia cibo, un gioco, qualcosa di divertente, se fai la faccia supplicante e la smorfia furbetta e dici ancora, ti accontentano sempre. Sennò piango, ovvio.

Dàmba = la prima parte del corpo che ho imparato, con cui gioco sempre quando mi cambiano il pannolozzo. La mia gamba: non è divertente, la mia gamba? Io rido sempre quando la vedo.

Dòlli = sta nel passeggino che mi ha regalato la mamma, le dò il biberon che mi ha portato Babbo Natale, la porto in giro per la casa, la sbatacchio di qua e di là, ma con affetto. È la mia bamboletta, la mia dolly, come la chiama mamma. Una qualunque delle ventisette che mi ritrovo in giro per casa, non importa, basta faccia quello che dico io.

Èpo = me lo apri, per favore? Anzi, più correttamente: aprimelo subito, ho detto! Forza, su che devo mangiarmelo/giocarci/accedervi con urgenza. Open, open, dice sempre la mamma.

Fiù = è per te, for you, tieni, toh, prendi. Eddai, non l’hai ancora perso? Perché non lo prendi? Su’ afferra! (Ops, è caduto.)

Gior-gio = il mio fratellone, chi altri?

Gìo-gìo-tondo = ma come fate a starvene sempre lì seduti come pappamolle, quando si può fare il gioco più bello dell’universo, che è girare girare girare intorno a sé finché non gira anche la testa? (Funziona solo se accompagnato dalla omonima filastrocca, ovvio.)

Peppo = paper, la carta, ma in particolare la carta igienica, con cui mi piace giocare mentre sono in attesa di espletare i miei bisognini sul water. Perché è questo che si fa sul water, no? Giocare con peppo, strapparla, appallottolarla, buttarla, prenderne altre, srotolarla tutta appena mamma o papà si distraggono. Che altro se no?

Pompòm = snaturato di un padre che mi stai conducendo fuori, hai forse dimenticato che fa un freddo cane? E allora perché non mi prendi il berretto (quello col pon-pon, ovviamente)?

Sciòsci = occhio adesso alle parole con la sc, che sono le mie preferite, quelle con cui vi metto alla prova ricorrendo a sottili giochi di consonanti e vocali. Sciosci è lo yogurt, la mia passione almeno finché si arriva al secondo cucchiaino (poi potete anche tenervelo, collezionando barattoli aperti in frigorifero).

Sciùscia = le signorine per bene sanno quando è il momento di chiedere scusa, e lo fanno a modo loro, lasciandoti col dubbio che sono dispiaciute sì, ma forse in realtà è soltanto un languorino e ci starebbe proprio bene uno yogurt per smorzare la tensione.

Sòsci = non so perché li chiamano calzini antiscivolo, se poi mi scivolano via in continuazione (non è vero, papà, non sono io che me li tolgo!). Allora devo sempre andare da mamma o papà a farmeli rimettere, indicandoli come li chiama sempre la mamma, socks. Sosci, appunto.

Sciùscio = è finito, non ce n’è più, detto in genere di cibo e nella duplice sfumatura “avete visto come sono stata brava?” oppure “si può sapere che cosa aspettate a riempirmi quel piatto di nuovo?”.

Tlà-tle = il latte (di riso), mia grande passione, nonché – in questo caso ripetuto ossessivamente fino a sfinimento dell’adulto di riferimento – desiderio irrefrenabile delle ore periferiche della giornata.

Tòp = basta, non ne voglio più, gradirei non mangiare più questa sbobba, sono sazia. Preferirei terminare questo gioco, smettila di insistere per favore. Insomma, come dirtelo: stop, stop.

Tòppo = il mio adorato cappotto, che ora in realtà è diventato giaccone, ma per me resterà per sempre cappotto, in onore del primo scafandro invernale con cui m’hanno ricoperto. Datemi il mio cappotto, dico quando dobbiamo uscire, incrociando le braccia e battendomi sulle spalle da coprire.