Provo verso il calcio gli stessi sentimenti che mi tengono a distanza dal mercato finanziario. A volte mi appassiono per le impennate di un titolo e ho pur sempre la prima azione nel cuore, ma poco servono a distrarre la mia diffidenza.
Ciononostante, mi dispiace venire a sapere dai giornali che il Pordenone Calcio, la squadra della mia città d’origine (serie C2), dovrà ricominciare il prossimo campionato dai Dilettanti.
Un’altra volta, in effetti, perché la squadra friulana era arrivata all’iscrizione in serie C2 dopo la lenta risalita seguita a uno dei più spettacolari flop economici che la storia dello sport di periferia ricordi. La vicenda è legata a un folcloristico imprenditore, tal Giuseppe D’Antuono detto Peppino, che negli anni ’80 arrivò da un giorno all’altro in città, acquistò il Pordenone Calcio e – in barba a una reputazione non certo immacolata – cominciò a promettere le massime serie professionistiche, l’arrivo di stelle del calcio e altre belle cose a cui molti diedero retta. Arrivarono, in effetti, campioni prepensionati, come Evaristo Beccalossi e, per un breve mentre, Dirceu. Ma un po’ per sfortuna, un po’ per la gestione sconsiderata, un po’ perché nel calcio di periferia le cose non vanno quasi mai come nelle favole, la squadra infilò una serie ininterrotta di retrocessioni. Passata dalla serie C alla Promozione senza passare dal via, la società vacillo e i conti collassarono definitivamente. Si ripartì nel 1990 dalla Prima Categoria.
Non si parla volentieri di questa storia, a Pordenone. Se chiedete in giro, molti fingeranno di averla dimenticata. Eppure c’è stata poesia in quel fallimento, ben resa in un memorabile articolo scritto in quei giorni sul Corriere della Sera dall’allora fresco di nomina inviato speciale Gian Antonio Stella (a ritrovarlo, lo incollerei volentieri).
Le vicende di questi giorni le conosco di rimbalzo dai quotidiani locali. Conti inaffidabili, decisioni prese all’ultimo minuto, il solito rimpallo di responsabilità. Pordenone ha nello sport le potenzialità di una città di medie dimensioni, ma l’atteggiamento della squadra da oratorio (con tutto che proprio la squadra di un oratorio è tra le poche a brillare in zona).
C’erano tempi in cui il calcio mieteva successi in C2 (e Pordenone compariva in schedina tre o quattro volte all’anno), il basket andava alla grande in A2, l’hockey su pista era ai primi posti della A1 e vinceva una coppa europea, il nuoto sfornava campioni internazionali, la pallavolo si avvicinava ai vertici. Oggi, invece, siamo poco più che dilettanti in quasi tutte le discipline.
In compenso, quando giochiamo a palla su un prato ci divertiamo ancora un sacco.