Colonna sonora di una Pasquetta al lavoro. Chi apprezza il genere che unisce come in un filo rosso sonorità acustiche e introspettive alla Nick Drake, Damien Rice e Jeff Buckley potrebbe apprezzare The Sleeper’s Sunday Grid, disco di esordio del pordenonese Federico Babbo, in arte Jeckeyed. Scelta illuminata, l’intero disco è pubblicato con licenza Creative Commons e si può ascoltare e scaricare liberamente. Io lo trovo un lavoro davvero notevole.
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Nick Drake è vivo e canta in mezzo a noi
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Sei gradi di separazione musicale
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L’altra sera, tornando a casa in auto in orario per me insolito, sono capitato sulle frequenze di Radio3. Da quando hanno preso il vizio di stravolgere i palinsesti delle uniche due emittenti che mi calzavano con un certo agio, ovvero Radio1 e Radio2 (cancellando avventatamente quel Condor che accompagnava con assiduità i miei tragitti casa-asilo-casa), sono tornato nomade dell’etere. Noto che sempre più spesso capito su Radio3, sarà un caso. Ne parlo perché quest’ultima volta mi sono preso una cotta per una trasmissione di cui finora ignoravo l’esistenza. Si chiama Sei gradi e, come il nome lascia intuire, gioca con le teorie del piccolo mondo esplorando «i fili e i legami tra le musiche e tra i musicisti, intrecciando le biografie dei musicisti, gli stili, i corsi e ricorsi storici, gli inciampi delle carriere e le affinità elettive». Da Beethoven ai Velvet Underground passando per David Bowie, per dire. Dai Police a Francesco Guccini attraverso le Puppini Sister. Rilassante, competente, stimolante. Ogni giorno alle 18, ma per fortuna sul sito si trovano le registrazioni delle puntate e ci si può abbonare al podcast.
Il concerto di Tracy Chapman a Bruxelles
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L’inizio – ieri sera, al Forest National di Bruxelles – è stato intenso come altrimenti non avrebbe potuto essere. Senza dire una parola intona in versione acustica Why?, un testo pacifista dedicato alle contraddizioni del mondo, seguito da Baby can I hold you, una delle più belle canzoni che siano mai state scritte per chiedere scusa. Che a uno viene da pensare alle frequenti prese di distanza della cantautrice americana rispetto alla presidenza del suo paese e lo prende come un messaggio abbastanza diretto, seppure messo in poesia, della sua visione del mondo in questi anni.
Il concerto è sostanzialmente acustico per tutta la prima parte, mentre si concede abbondanti digressioni sull’elettrico e sul rock nella seconda. Tracy Chapman è in gran forma, la sua voce è più potente e ha più sfumature che mai; inoltre sembra divertirsi parecchio a suonare. Tanto poco concede di personale al suo pubblico, tanto più ama suonare e cantare con grande professionalità. L’accompagna una band bizzarra di due elementi soltanto: un bassista/tastierista che sembra uscito da un incrocio tra Woody Allen e Ben Kingsley, e un batterista che potrebbe essere il parente americano di Pau dei Negrita. Davvero bravi a dare spessore a ciascun brano pur ricorrendo a pochi stumenti.
Il repertorio è scelto in gran parte dall’ultimo lavoro, Where you live, ma pesca spesso e volentieri dal bellissimo album eponimo d’esordio del 1988 (da ricordare Behind the wall, cantata come da copione a cappella) e recupera qualche canzone dai più recenti Let it rain, Telling stories e New beginning. Da quest’ultimo, su richiesta del pubblico durante i concerti precedenti, ha eseguito per chitarra sola la romanticissima The Promise (una di quelle che una coppia appena sposata finisce per commuoversi) .
Come sempre, Tracy Chapman preferisce lasciar parlare le sue canzoni, sorride, ringrazia e si congeda dal pubblico belga dopo due bis (finisce, come spesso accade, con l’invitante Give me one reason: dammi una ragione per restare) e non più di un’ora e mezza di concerto senza pause. Unico elemento negativo, l’ossessione dell’organizzazione per le macchine fotografiche: stando a quanto si legge dai cartelli appesi all’entrata, sarebbe una richiesta dall’artista in persona. Che, voglio dire, flash continui e schemi di telefonini agitati nell’aria sono una gran rottura e rovinano l’intensità del concerto, è vero, ma il piccolo esercito di sorveglianti che con pile e attraversamenti ripetuti di platea reprimevano ogni tentativo di portarsi via un fotogramma del concerto (come se potesse mai essere poi un’opera d’arte) forse è pure peggio.
In Italia arriva il 10 dicembre, per un’unica data al Teatro Smeraldo di Milano.
SciàScià ritrovato
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Alla fine Indie-La musica indipendente l’ho trovata. La rivista, peraltro, è solo un fascicoletto formato cd di sei paginette scarne utilizzate per introdurre il cd del mese e dare qualche altra generica informazione a tema, perso nel mare di cartone che vorrebbe rendere visibile il supporto digitale tra gli scaffali delle edicole. Pregevole il tentativo di distribuire dischi difficilmente accessibili, ma per ora i mezzi lasciano a desiderare.
Al contrario, devo dire che anche questa volta la Rete ha fatto il suo dovere. Chi aveva qualche suggerimento da darmi in merito alla mia richiesta me l’ha dato, a cominciare dal gentile Enzo La Gatta, produttore del Cd e anima delle (Nuove) Nacchere Rosse. Testimonianza, se mai ce ne fosse bisogno, che le informazioni disseminate in Rete trovano quasi sempre la via per raggiungere le persone a cui possono interessare e per stabilire dei contatti che il mercato tradizionale non consente.
Detto questo, il cd SciàScià è molto bello e lo consiglio a chiunque abbia occasione di sentirlo. Contiene 14 brani. Sette di questi sono ispirati a laudi e canti della tradizione popolare medievale italiana e interpretate con la nota classe da Dario Fo. Le altre sono rivisitazioni, spesso ancor più sorprendenti e attuali, dei canti di lavoro e di protesta con cui le Nacchere Rosse davano voce al disagio di una generazione negli stabilimenti dell’Alfa di Pomigliano d’Arco negli anni ’70. Al fondatore di quel gruppo, Salvatore Alfuso (SciàScià, da cui il titolo), è dedicato l’intero disco, che è un’appassionata operazione di recupero della memoria (a cui partecipa anche Enzo Gragnaniello) giocata prevalentemente sui ritmi pizzicati del Sud Italia.
Io, che di tarante e tammorre so ben poco, l’ho apprezzato quanto a suo tempo amai la rivisitazione (introvabile anche quella) delle musiche dei briganti che Eugenio Bennato e i Musicanova fecero per uno sceneggiato televisivo degli anni ’80. E mi sono lasciato conquistare in particolare da ‘O lavoro, dove Nello Daniele canta «l’urdema nuvità, ca stu guverno chiama libertà».
Sul lettore cd, di questi tempi
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È un periodo intenso, da queste parti, ma molto musicale. Il che significa, probabilmente, che l’umore è buono e creativo. Faccio il punto sulle (mie) ultime novità.
Ho finalmente messo a fuoco una canzone incrociata più volte per radio (Dalla pace del mare lontano) e, attraverso questa, un autore che avevo finora abbastanza clamorosamente mancato. Meglio tardi che mai, ora sono alla riscoperta dell’opera omnia di Sergio Cammariere. Belle atmosfere, bei testi (molto mare), belle sonorità sul jazzato andante. La stessa bella sensazione di quando ho sentito per la prima volta Ivan Segreto, devo dire; unita a qualche eco di Vinicio Capossela.
Il quale Ivan Segreto, nel frattempo, ha lanciato il suo secondo disco Fidate correnti. Che è bello, molto bello in effetti, ma nella sua maturità sonora manca forse della freschezza e dell’immediatezza di Porta Vagnu, tuttora uno dei dischi più letti in assoluto dal mio stereo.
Ho apprezzato molto, piuttosto, la rilettura celebrativa di Jagged little pill in chiave acustica da parte di Alanis Morissette. Dieci anni dopo, l’album di Ironic, di Hand In My Pocket, di You Ougtha Know suona più bello che mai, dopo che gli è stato tolto un po’ di volume e dopo che è stato aggiunto spessore ai suoni. La voce e l’interpretazione dell’artista canadese, che a settimane lancia la sua prima collection, ne guadagnano senz’altro.
Segnalo, inoltre, che è già uscito il doppio cd con la colonna sonora del film tratto dal musical Rent di Jonathan Larson. Le canzoni più o meno sono quelle, naturalmente, ma l’adattamento degli arrangiamenti alle esigenze cinematografiche mi pare abbia ulteriormente giovato all’atmosfera di una delle più convincenti rappresentazioni di Broadway degli ultimi anni. Pure il film, diretto da Chris Columbus e in uscita a novembre (in Italia ad aprile 2006), si annuncia piuttosto curato.
Aggiungo, in coda, due piccole scoperte altrettanto piacevoli. La prima è una raccolta di musica celtica, The best celtic collection ever, che a dispetto del titolo ammiccante (da cui in genere mi tengo ben lontano) è davvero una bella sintesi di sonorità e di artisti di quelle terre. In particolare, fatico a togliere dal lettore cd il primo dei cinque dischi. L’altra piccola scoperta è Krishna Das, voce di riferimento del vasto mondo della spiritualità orientale, che ben si sposa con una serie di percorsi di lettura che mi hanno molto affascinato di recente. Dovendo scegliere, comincerei dalla raccolta Live on Earth. Astenersi quelli che una canzone deve durare non più di cinque minuti e deve avere un inizio e una fine.
In cerca di Indie
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Dunque, questa è una richiesta discreta di aiuto. Le informazioni che possiedo io sono queste: il 23 settembre è uscito il primo numero di una nuova rivista dal nome “Indie, la musica indipendente”, un mensile musicale edito da RaiTrade insieme a Helikonia con cd allegato, costo 7,90 euro. Il numero in questione conteneva SciàScià, un cd di canti tratti dalla tradizione popolare medioevale a cui hanno partecipato Dario Fo, Enzo Gragnaniello e Nuove Nacchere Rosse. Lo vengo a sapere da un servizio di Vincenzo Mollica durante un Tg1 di qualche settimana fa. Cerco in Rete, ma trovo solo qualche flebile traccia e un comunicato stampa: i siti ufficiali di tutti i soggetti coinvolti – bontà loro – non ne parlano, né la rivista sembra avere ancora una presenza online.
Ora, il mensile dovrebbe essere distribuito in edicola. Nelle edicole della periferia dell’impero, qui, nemmeno a parlarne, né – figuriamoci – sono interessati a cercarla. Nelle scorse settimane sono stato a Torino e a Milano, ma neppure lì ne sapevano nulla. Ho provato perfino in libreria, nessuna traccia. Allora mi chiedo, ma soprattutto vi chiedo: esiste? Qualcuno l’ha vista? Qualcuno l’ha addirittura presa e sa dirmi se rivista e ciddì valgono la pena di continuare a cercarli? Qualcuno ha suggerimenti utili per venire in possesso di una copia?
E che diamine, però: una rivista che nasce nel 2005 per «agevol[are] la comunicazione capace di sviluppare un percorso musicale alternativo» e per «essere una nuova risposta alle difficoltà distributive e promozionali per artisti e gruppi che si autoproducono, per quelli che hanno notorietà e consenso per la qualità delle loro proposte musicali», e che per di più mobilita per il primo numero un nome come Fo, potrebbe anche – tanto più nella delicata fase del lancio – puntare su Internet. Costa poco o nulla, basta una paginetta vetrina con un numero di telefono, un’e-mail e magari le modalità di acquisto o abbonamento. Poi la Rete, col suo scaffale lungo, fa da sé. Da guadagnarci ci son solo lettori.
Il posto in cui vivi
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Venerdì è uscito in Italia il nuovo cd di Tracy Chapman, Where you live. Il mio giudizio, magari prematuro al terzo ascolto, è: rassicurante. È esattamente quello che ti aspetti dalla cantautrice americana, in linea con il genere di prodotto curato – amato, mi verrebbe da dire – a cui ha abituato i suoi estimatori: belle canzoni, buoni testi, mix equilibrato di spunti di vita (la trascinante Change, che fa da singolo di lancio) e di impegno civile (la severa America), di romanticismo e di disillusione.
Il lato positivo è che non delude, che allunga di undici titoli la sua – per me assai stimolante – storia musicale. Il lato negativo, se proprio deve esserci, è che non spicca per evoluzione nello stile: Where you live riprende per lo più le stesse sonorità mature di Let it Rain e, prima ancora, di Telling Stories. Trovo che si avverta sempre di più, nel suo lavoro, la debita distanza a cui si tiene dai media, dalla celebrità, dagli eccessi della stessa industria musicale (lei dice di essere una musicista e di voler fare quello), e in fondo anche per questo mi piace: potrebbe avere molto di più, ma si accontenta – nell’accezione più attiva e consapevole del verbo – di essere se stessa.
L’immagine un po’ bizzarra che accompagna questo post ha una storia. Sul principale sito non ufficiale dedicato a Tracy Chapman (quello ufficiale è in disarmo da mesi) si sono inventati un simpatico giochetto fotografico legato al titolo del nuovo album, il Where you live Photo Challenge. L’idea è mettere insieme un album di immagini scattate in giro per il mondo: riprendere il cd davanti a un particolare rappresentativo del luogo in cui si vive (Where you live, appunto, che poi è un verso di Going Back). Io, di solito allergico alle iniziative da fan club, una volta tanto mi sono divertito a partecipare. L’aspetto divertente è che, essendo il cd uscito in anticipo di qualche giorno qui da noi, nell’album per ora ci sono solo Parigi e… Pordenone.
Di musica e hard disk
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Recupero l’assist di Axell, qualche settimana fa:
Volume totale dei file musicali?
Ho appena perso un disco fisso che conteneva anche una dignitosa raccolta di brani difficilmente rintracciabili. Dunque ora siamo intorno a 0 MB.
L’ultimo Cd che hai comprato?
Rarities, Indigo Girls – in arrivo da Amazon.
Canzone che stai suonando ora?
O sonho, Madredeus
Cinque canzoni che ascolto spesso:
Come in uno specchio, Eugenio Finardi
Van Loon, Francesco Guccini
Amore di passaggio, Grazie De Michele
Life is sweet, Natalie Merchant
Losing my religion, Rem
E ora il passaggio del testimone ad altri 4 blogger:
Perles de Pluie, Blog Notes, Webgol, Maurizio Boscarol
Folkest 2005
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Da ieri è disponibile il programma della nuova edizione di Folkest, il festival di musiche altre (etniche, folk e popolari, per lo più) che si tiene tutti gli anni in luglio negli angoli più belli del Friuli Venezia Giulia. Funziona, come sempre, che ci sono una manciata di nomi di richiamo (quest’anno: Francesco De Gregori, Carlos Nunes, Jefferson Starship, Modena City Ramblers), ma poi il vero gioco è fidarsi del programma e scoprire giorno per giorno musicisti colti e raffinati da mezzo mondo. Nel sito rinnovato – e finalmente all’altezza – tutte le informazioni del caso.
Due o tre cose che avevo da dire
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Se avessi il tempo che questi giorni non ho affatto, probabilmente racconterei che:
- il nuovo Cd dei Mercanti di Liquore, Che cosa te ne fai di un titolo, è molto carino e suona più maturo del precedente, sebbene meno fresco e diretto del travolgente La musica dei poveri.
- il nuovo Cd tutto blues di Eugenio Finardi è molto bello, trasuda passione da ogni traccia e andrebbe sostenuto non fosse altro perché un artista che si autoproduce per realizzare i progetti in cui crede è un bel segnale per il sistema discografico. Detto questo, io – che dal blues mi faccio trascinare, ma fino a un certo punto – di Finardi continuo a preferire la sensibilità di cantautore.
- il 14 giugno esce un Cd composto da 18 demo, versioni rare e duetti delle Indigo Girls, Rarities.
- chi ha apprezzato il musical Rent (importato e tradotto in italiano nel 2000 da Nicoletta Mantovani), forse dovrebbe sapere che negli Stati Uniti è in produzione il film tratto dal soggetto di Jonathan Larson, in uscita sugli schermi americani il prossimo 11 novembre. E che la promozione è affidata (anche) a un blog, che pur essendo ospitato dal produttore promette di essere in linea con la storia di questo musical.
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