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Category: Ascolto

Dicembre 9 2003

È uscito finalmente il calendario dei concerti del ciclo La musica dei cieli, rassegna di musica tra il sacro e l’etnico organizzata tradizionalmente in dicembre dalla Provincia di Milano. Quest’anno sono in cartellone The Chieftains, Noa, Eugenio Finardi, Ballakè Sissoko, Ambrogio Sparagna e Giovanni Lindo Ferretti, insieme a gruppi provenienti da Sudafrica, Bulgaria, Stati Uniti, Israele. L’atmosfera dei luoghi (tutte chiese più o meno conosciute del milanese) e la particolarità delle selezioni ne fanno uno dei festival più originali dell’anno. Da scoprire.

Da notare che Il Silenzio e lo spirito, l’apprezzato concerto proposto già nel ciclo 2002 da Eugenio Finardi (con Vittorio Cosma, Francesco Saverio Porciello e Giancarlo Parisi), è diventato anche un Cd, in vendita da venerdì 12 dicembre. Un’occasione per apprezzare il Finardi interprete ispirato di capolavori come “Hallelujah” di Leonard Cohen (da poco rivisitata anche da Elisa), “Oceano di silenzio” di Franco Battiato, “Il ritorno di Giuseppe” dalla Buona Novella di De André o la corale della Cantata 147 di Bach.

Novembre 13 2003

L’uscita del doppio Cd con la registrazione del concerto in ricordo di Fabrizio De André tenuto al Carlo Felice di Genova il 12 marzo 2000 è una gran bella notizia (via Quattroeunquarto).

Ottobre 29 2003

Ci sono voci che possono permettersi di essere credibili in qualunque contesto: per esempio, quelle di Michael Stipe (clip: WM, RA) o Tracy Chapman (WM, RA). Anche quella di Dave Matthews. Ho scoperto il repertorio della Dave Matthews’ Band ai tempi dell’università: mi folgorò Let You Down (WM) e un po’ per volta mi sono appassionato all’affascinante mix di acustico ed elettrico imbastito da quella voce calda e piena di personalità. Crash è ancora uno dei cd che più mi rilassano.

Oggi Dave Matthews si è preso una vacanza dalla Band che porta il suo nome e prova a esaltare la sua vena di cantautore. L’incursione da solista (Some devil) ha un sapore vagamente più commerciale rispetto alla consueta produzione collettiva, ma il risultato è quanto meno piacevole. E no, checché ne dicano i giornali, il cd è lungo ma affatto noioso. Un po’ funebre al primo ascolto, magari, con tutto quel parlare di cimiteri (Gravedigger) e vite complicate. Poi, però, emergono le piccole immagini azzeccate di cui è infarcito l’album (A hundred and three is forever when you’re just a little kid, So Cyrus Jones lived forever), gli arrangiamenti raffinati, l’alternarsi di violini e chitarre elettriche, di ballate dolci (Oh) ed escursioni raggae (Up and Away, più John Lennon che Bob Marley), e l’album acquista spessore. Un cd forse meno speziato del solito, ma per nulla insipido.

Insomma, a me è piaciuto parecchio (a parte i fastidiosi vincoli del sistema anticopia BMG). Se volete ascoltarne un po’, trovate il suggestivo ma didascalico video di Gravedigger sul sito di MTV e un breve preascolto di tutte le tracce sul sito ufficiale.

Ottobre 1 2003

È lei che ogni anno mi annuncia l’arrivo dell’autunno. Io non riesco ad ascoltare le canzoni di Tori Amos in primavera o in estate. In compenso è lei che ho improvvisamente voglia di sentir cantare appena si alza la bora.

Quando uscì From the Choirgirl Hotel, nel 1998, mi capitò di leggere una recensione illuminante su Rockol: «Chi sceglie Tori Amos oggi sceglie un mood, uno stato d’animo che a tratti preferirebbe magari più giocoso, quantomeno più variegato, e che invece finisce per scorrere via come un fluire di acqua di stagno, come una melma di emozioni». Ecco: una disposizione d’animo, un umore. Probabilmente il mio mood, da ottobre a febbraio.

A pensarci bene, buona parte dei miei Cd preferiti rientrano in questa definizione. E infatti li ascolto quasi esclusivamente in inverno. È la stagione in cui spengo volentieri la Tv, avverto meno l’impellenza di essere collegato, ho poca fretta di conoscere le ultime notizie. Ascoltare un Cd, almeno per quanto mi riguarda, significa far passare il tempo (in treno, per esempio) oppure – ed è questo il lato invernale della faccenda – staccare per qualche ora i contatti con il mondo. Un Cd non ha edizioni straordinarie, non ha aggiornamenti, non propone invitanti collegamenti ipertestuali: è quello che è, dall’inizio alla fine, ed è sempre uguale a se stesso. Se risponde al tuo stato d’animo, in quel momento non hai altro da chiedere.

A chi avesse voglia di ascoltare un po’ di buona musica autunnale consiglio di provare l’originale Peyote Radio Theatre proposto sul sito che custodisce la memoria di Jeff Buckley: si tratta di un player in Flash che ripercorre in streaming audio e video (di discreta qualità) l’intero repertorio del cantante americano morto nel 1997. Alla faccia delle preziose preview di 30″ e delle varie contropiraterie dei discografici, ecco un modo intelligente di usare Internet per diffondere la musica. Tanto, se il prodotto è di qualità e piace, uno il Cd se lo compra eccome.

Agosto 4 2003

Di tanto in tanto mi capita di riascoltare uno in fila all’altro tutti i cd di Fabrizio De André che posseggo, in particolare La Buona Novella e il concerto dal vivo del 1998. Esclusa la musica classica, nella mia testa è quanto di più vicino all’idea di buona musica. La settimana scorsa era uno di questi momenti: alla sequenza di dischi se n’é aggiunto uno in extremis, gradito allegato al numero in edicola di Mucchio Extra, il trimestrale di approfondimento del Mucchio Selvaggio.

Non più i cadaveri dei soldati contiene 80 godibili minuti di reinterpretazioni dei capolavori del cantautore genovese. Sfilano Afterhours, Massimo Bubola, Mercanti di Liquore, Claudio Lolli, Marco Parente, Il Parto delle Nuvole Pesanti e altre voci minori, mentre le cover spaziano dalle canzoni più note (La canzone di Marinella, La guerra di Piero, Un giudice) a gioielli meno conosciuti (Coda di lupo, Monti di Mola, Nell’acqua della chiara fontana). Spicca chi non ci ha messo troppo del suo, perché le canzoni di De André vivono già di equilibrio perfetto tra semplicità e misura (oltre che della simbiosi con quel miracolo di sfumature che è la voce del loro autore); tuttavia l’operazione è onesta, e si sente.

Per chi apprezza il genere, vale tutti gli 11 euro del panino rivista+cd. Anche perché la rivista (che raccoglie materiale già pubblicato sul Mucchio Selvaggio più alcuni inserti originali) non è affatto male: è bello leggere articoli che non hanno fretta di finire, interviste che non vivono dei 5 minuti rubati alla presentazione di un nuovo album e viaggi appassionati nella storia della musica leggera (questo mese i Beatles).

Giugno 9 2003

Via del CampoSiete mai stati a un concerto di Fabrizio De André? Ricordate con precisione luogo, data e scaletta di massima? Allora date una mano a Via del Campo, sito che da tempo sta costruendo un omaggio al cantante scomparso nel 1999 sotto forma di raccolta di tutto il materiale noto sul suo conto. Particolarmente ambiziosa la sezione riguardante i Tour.

Giugno 5 2003

A proposito di stagione estiva dei concerti, queste sono alcune date che ho segnato in agenda. Se riuscissi a vederne un paio sarei già contento:

– domani (venerdì 6) Cristiano De André tiene un concerto gratuito all’Idroscalo di Milano; tra l’altro, c’è una bella lista di concerti, spesso gratuiti, all’Idroscalo

– il 27, nell’ambito del Festival di Villa Arconati a Garbagnate (MI), la Piccola Orchestra Avion Travel si esibisce con Fabrizio Bentivoglio

– il 30, ancora all’Idroscalo di Milano, c’è il Milano Gospel Festival, una serata dedicata a cori gospel (ma con poco promettenti inserti dance) a ingresso gratuito, con donazioni spontanee per beneficenza

– il 12 luglio Carmen Consoli canta a Pordenone, in Fiera

– il 13 luglio i La Crus suonano al Lago Nord Live Festival di Paderno Dugnano (MI), con biglietti a 10 euro

– al Folkest, meraviglioso festival di musica etnica e folk che si tiene tutti gli anni in luglio in Friuli-Venezia Giulia, torna dopo un paio d’anni Allan Taylor, song poet inglese dalle atmosfere un po’ retrò e molto acustiche. Suona il 15 luglio al Castello di Udine, in una serata gratuita che vede anche la partecipazione di Eric Andersen e Massimo Bubola per approfondire il rapporto tra poesia e musica. Nel ricco programma del festival ci sono anche i Jethro Tull

Per informazioni complete e aggiornate sui concerti in programma nei prossimi tre mesi, consiglio i database di RockOL (compreso lo speciale Festival), musicaitaliana.com e lo speciale di Corriere.it.

Giugno 4 2003

Questa sera ho dato ufficialmente inizio alla stagione dei concerti estivi con quello che dovrebbe essere il mio settimo concerto di Eugenio Finardi.

Per la non comune sensibilità di autore e la raffinatezza delle interpretazioni, Finardi è forse l’unico artista che seguo incondizionatamente da una quindicina d’anni e che cerco di non perdere mai dal vivo quando tiene un concerto entro una cinquantina di chilometri dal luogo in cui mi trovo. Fra i sette, quello di oggi è stato tra i migliori dai tempi del tour acustico nei teatri dei primi anni ’90. Nulla di particolarmente nuovo, in effetti, ma una buona sintesi del lavoro recente che ha come pretesto l’originale esperimento di Cinquantanni, l’album del 2002 in cui ha recuperato e riarrangiato alcune canzoni poco note del suo repertorio anni ’70 e ’80.

In gran forma e con una voce sempre più calda e ricca di sfumature, Finardi riunisce in questa serie di concerti alcuni dei suoi successi storici, i gioielli appena riscoperti, ma anche echi del progetto Il silenzio e lo spirito (con cui nel dicembre scorso ha preso parte alla rassegna La Musica dei Cieli), dell’ormai storico tour Acustica e dell’esperienza essenziale e basata sull’improvvisazione dei concerti in trio dello scorso anno. Più ampia, ma non necessariamente meno acustica, la formazione che lo accompagna: alle chitarre di Francesco Saverio Porciello e alle tastiere di Vincenzo Muré si uniscono in questo caso anche batteria e (contrab-)basso.

Piacevole sorpresa della serata di oggi ad Arese (dove la minaccia del maltempo ha spinto gli organizzatori a rinunciare alla cornice della settecentesca Villa Ricotti per il più tradizionale cinema-teatro) è stata l’escursione nel troppo presto dimenticato album Occhi del 1996, da cui Finardi ha rispolverato la bellissima Un uomo (oltre alla più frequente cover Uno di noi). Segno forse che i conti con quel periodo, artisticamente e umanamente impegnativo, sono definitivamente chiusi ed è giunto il momento di riscoprire a piccole dosi alcuni gioielli perduti.

È interessante la rilettura energica ma più acustica che in passato di Soweto, mentre stupisce la ritrosia nell’inserire in scaletta quel capolavoro di attualità che è Afghanistan (anno 1975, rispolverata in Cinquantanni). Per chi non lo avesse ancora sentito cantare il classico di Gershwin Summertime, infine, la sua rivisitazione blues – ancor più incisiva che nel tour Acustica – è un raro gioiello di interpretazione.

Nel complesso, un concerto affascinante e la garanzia di due ore di ottima musica per chiunque non abbia familiarità con le canzoni di Finardi. I fan più accaniti, invece, potrebbero restare perplessi per la perdita di una nuova occasione per proporre un concerto ancor più coraggioso nel taglio e nel repertorio, a maggior ragione avendo le spalle coperte da un disco che coraggioso lo è stato davvero. Tuttavia non potranno non apprezzare la sensazione di trovarsi di fronte a un cantautore ritrovato per vivacità e ispirazione artistica.

Andatelo a sentire, se vi capita.

Aprile 10 2003

Eye in the sky, Alan Parson's ProjectAmmetto tre debolezze in un colpo solo. La prima: mi piace assistere alle cerimonie di assegnazione dei premi cinematografici o musicali, dagli Oscar in giù. La seconda: amo le cover, ovvero la rivisitazione da parte di un cantante o gruppo musicale di canzoni appartenenti al repertorio di un altro cantante o gruppo. La terza: adoro la musica acustica, specie se si riduce a esecuzioni per chitarra, pianoforte e voce. Potete, quindi, immaginare i cinque minuti di delizia che ho vissuto ieri sera, durante la bislacca diretta dei David di Donatello, quando Noa ha presentato la sua versione di Eye in the sky degli Alan Parson’s Project accompagnata solo da una chitarra acustica.

Non conosco molto del repertorio di Noa; diciamo pure che mi fermo poco più in là di Life is beautiful, la canzone tratta dalla colonna sonora del film di Benigni. Di conseguenza ignoravo che nell’autunno scorso avesse presentato un nuovo Cd, Now, e che questo contenesse due cover (anche We can work it out dei Beatles).

Trovo Eye in the Sky una canzone bella, ma come molti classici evergreen ha il difetto di suonare ormai terribilmente uguale a se stessa, quasi un luogo comune musicale. C’è poi quest’immagine un po’ spaventosa dell’occhio nel cielo capace di leggere nella mente altrui che, pensandoci bene, mi insegue da vent’anni (la canzone è del 1982). La versione di Noa è meravigliosa: dà nuova vita al testo, ritocca la musica quel tanto che basta a renderla un dolce sottofondo e fa diventare la canzone delicata e intensa. Riascoltata un po’ di volte, sull’onda dell’entusiasmo l’ho subito inserita tra le mie cover preferite.

È in buona compagnia, insieme a – giusto per fare qualche nome:

Aprile 8 2003

Bel cd Evolve, l’ultimo di Ani DiFranco. Per chi apprezza il genere, lei è una sorta di Dave
Mattews
al femminile, un’Alanis Morissette in versione blues. Le melodie sono ricche, gli strumenti sono tanti (tra cui un trio di trombe, che dà il meglio di sé in Promise Land, la traccia d’apertura), i ritmi spaziano con leggerezza dal folk al jazz, al blues, senza disdegnare incursioni in sonorità rock e latine.

Tra le cantautrici alternative americane, Ani DiFranco è una delle più alternative. E prolifiche: produce i suoi lavori a un ritmo tale da far impallidire qualsiasi stratega del marketing (il precedente, un live doppio, è nei negozi da poco più di sei mesi). Il risultato, nonostante tanta fecondità, è sempre all’altezza del miglior cantautorato americano contemporaneo. Le canzoni di Evolve sono dense di spessore sonoro e di espressività nei testi.

Non le manda a dire, Ani DiFranco: «no you didn’t just leave, i actually kicked you out» dice con rabbia mista a ironia in In the way. Evolve è un collage di situazioni, frammenti di relazioni, atmosfere senza contesto. Racconta un’evoluzione personale, suggerisce il titolo, e i testi sono tutti intimi, quasi sempre ruvidi. Storie, lunghi sfoghi che non cercano mai rime perfette, racconti in pillole che non perdono di vista l’umanità dei protagonisti. Ani DiFranco non si accontenta di far parlare i versi: li interpreta, dà loro vita in simbiosi con la musica, piega l’intera canzone alla sua volicalità particolare. In questo è perfino più virtuosa della Morissette.

Qualche estratto del cd si può ascoltare sul sito ufficiale, su Cdbox e su Cdnow.

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