Se ci ho capito qualcosa, potrebbe funzionare così: per ottimizzare ulteriormente tempi ed efficacia del telemarketing, sempre più spesso la verifica della disponibilità delle persone all’altro capo della linea viene eseguita in automatico dal software di gestione dei call center. Il computer scorre la sua lista, invia chiamate in serie e soltanto laddove rileva interazione umana significativa (sì, quell’essere inferiore che ripete ossessivamente – e nervosamente – “pronto?!”) passa il numero all’operatore. In questo modo l’addetto al call center non spreca più il suo tempo a chiamare a vuoto in giro per le case, ma prende in carico soltanto le linee dove troverà a colpo sicuro qualcuno con cui parlare. Geniale, non è vero?
Non ho il tempo di approfondire la questione, né ho trovato finora documentazione di supporto. Per dirla con Pasolini, io so ma non ho le prove. Mi accontento di verificarne gli esiti, interessato come sono da anni alla degenerazione della civiltà in questi baluardi decadenti della società di massa. Quello che per l’azienda (o per il service di telemarketing) è un consistente incremento di efficienza, per il potenziale cliente è una nuova scocciatura da sopportare. Buona parte delle telefonate commerciali che ho ricevuto negli ultimi mesi sono state precedute da telefonate mute: ormai già so che quando mi arriva una chiamata a vuoto, da numero ovviamente anonimo, nel giro di pochi minuti qualcuno proverà a vendermi qualcosa. A volte, sempre più spesso, la chiamata di verifica non è nemmeno una sola, in alcuni casi diventa una tempesta magnetica di squilli accennati o abortiti. Stamattina, per dire, il cordless per tre volte s’è illuminato soltanto, senza nemmeno arrivare alla suoneria; poi sono arrivate due chiamate a vuoto, infine – al sesto tentativo – l’operatrice. La stessa che da due giorni (per un totale di 13 squilli) sta cercando di rifilare una collezione di fiabe per bambini a mia moglie.
Non mi è chiaro se questa proliferazione di squilli sia imputabile a un malfunzionamento del sistema (come se fossero linee VoIp sovraccariche e non affidabili) o piuttosto all’adattamento dinamico ai tempi di conversazione dell’operatore (se la chiamata precedente si prolunga, riparte la verifica oppure il numero entra nella coda di un altro operatore). Sia come sia, a me sembra evidente che abbiamo completato la discesa di un altro gradino verso l’abisso. Non è nemmeno più questione di mancanza rispetto per il cliente: stiamo scadendo – con la consueta lentezza italiana che rende i cambiamenti impercettibili e in qualche modo sopportabili – nella violenza commerciale. D’altronde è il minimo che mi aspetto da una società che dopo almeno vent’anni di telemarketing spinto non è ancora stata capace di trovare un modo che sia uno per arginare l’invadenza delle aziende e ancora cincischia sull’applicazione dei pochi sistemi di regole che si è data. Il problema non è la caduta, è l’atterraggio (cit.).