La settimana scorsa ho fatto l’insegnante per una manciata di ore. Di tutto, l’effetto più stupefacente – e non necessariamente nell’accezione positiva – è stato ripiombare in quel mondo avulso dalla realtà che è la scuola. Il tempo scandito da campanelle, una pausa ogni due ore cascasse il mondo, le note sul registro, i rapporti tesi tra compagno e compagno, tra compagno e professore, tra professore e professore, tra professore e preside. Tralascio ogni ragionamento su quanto smunta ed emaciata ho trovato la scuola pubblica italiana, quindici anni dopo. E anche sulla mia incapacità di stare in un’aula senza sentirmi inguaribilmente studente.
Perché non è di questo che volevo parlare. Il fatto è che parlavo a questi ragazzi di blog, di wiki e di social network. E ci ho messo quattro giorni ad appassionarli (comunque poco) all’idea. La teoria non gli è andata giù nemmeno a fare il saltimbanco sulla cattedra o ricorrendo alle peggiori animazioni di PowerPoint. La pratica un po’ di più, che era sempre meglio di un’interrogazione di filosofia, ma insomma nemmeno troppo, e i giovani si sa hanno cose di molto più importanti a cui pensare.
Poi li guardavo nelle pause, oppure quando qualcuno finiva la sua esercitazione prima degli altri. Il blog diventava un’estensione naturale al sms: chiacchiere in codice nei commenti. Questi ragazzi hanno la conversazione nel sangue, ma quando gliela mostri non la riconoscono (ancora). Sfrucugliano nella ricerca per immagini di Google dentro un web tutto visuale, ma poi restano freddi davanti a Flickr. E appena non li guardi corrono nei reconditi meno opportuni di YouTube, che se poi glielo presenti come social software perde ogni fascino.
La morale di tutto questo è che in quattro giorni non ho trovato affatto una morale. Solo un gruppo di ragazzini pieni di opportunità, ma molto distratti e assai annoiati – pur con le debite, confortanti eccezioni. Hanno strumenti che noi ci sognavamo. Ai miei tempi (ecco, l’ho detto) pregavamo il tecnico perché ci prestasse la videocamera e poi ci montavamo i video col videoregistratore, pur di comunicare. Loro oggi hanno il mondo alle loro dita, ma spesso sembrano accontentarsi di fargli il solletico.
Antonio Sofi
Feb 15, 2007 -
Commosso. Come quando mi accade di leggere alcuni dei miei pensieri più intimi, e scritti da qualcun altro – e meglio.
Beniamino Pagliaro
Feb 16, 2007 -
Sofferente e annoiato ogni giorno, ti capisco profondamente.
Federico Fasce
Feb 16, 2007 -
Ma che succede? Perché nessuno (o quasi è più curioso di quello che gli sta intorno? Queste esperienze mi fanno pensare… a volte temo che stiamo sbagliando, e che le nuove generazioni delle potenzialità ce hanno di fronte se ne freghino… Ma allora?
Pensare che io di fronte al primo computer a scuola tremavo dall’emozione. Azz, sto invecchiando mi sa.
Biagio
Feb 16, 2007 -
Assolutamente d’accordo: è capitato anche a me (peccato, direi) di “assaggiare” questo stato di torpore (quasi apatico) di alcuni ragazzi (maturandi liceali).
mafe
Feb 16, 2007 -
A me sembra quasi normale. Arriva un adulto e vuole “complicare” ciò che per te è naturale, un tuo divertimento privato portato in cattedra.
Io ricordo bene un’adolescenza vissuta a nascondere i miei tesori dagli adulti, a negarne l’importanza di fronte all’evidenza.
Ho due cuginette, una di 13 una di 16 anni, entrambe perennemente in blog/messenger. A loro piace usarli, non parlarne e trovano assai buffo che parte del mio lavoro sia insegnare agli adulti a usarli 😉
Sergio Maistrello
Feb 16, 2007 -
Mi segnalano problemi a pubblicare commenti, stamattina. Dovesse capitare, chiedo scusa, magari fate una copia del messaggio e inoltratemelo via email, che cerco di capire perché. Grazie.
pietroizzo
Feb 16, 2007 -
Quoto Antonio (vota antonio vota antonio)!
Quello che hai scritto mi tocca da vicino, guarda caso anche io un paio di settimane fa sono rientrato dalla finestra a fare il “prof associato” nel mio vecchio liceo. Fortunatamente solo per una giornata. La pippa sui social network era nel mio caso mascherata da conferenza sugli aspetti retorici della comunicazione scritta e visuale… sai si era pur sempre al mitico classico di Ivrea 😀
eppure anche lì… sorrisetti e indifferenza. Per di più c’era anche la secchiona odiosa che mi chiedeva perché utilizzavo parole in inglese nella mia lezione. Fortunatamente ho risolto spiegandole che oltre al greco e al latino avrebbe fatto meglio a studiare bene anche l’inglese perché quello le sarebbe servito molto di più DOPO. Sai, mi ha salvato solo la mia aria da inguaribile capellone e la maglia di Mutley che tanto piacque ad Antonio Sofi. In un certo senso potevo ancora sembrare una figura da non snobbare del tutto. E poi ha ragione Mafe. E poi…. in fondo è questo il motivo per cui sono sempre inguaribilmente scettico sulle “evangelizzazioni”. D’altra parte, l’inazione è peggio, almeno ci si prova.
EduPodcast » Blog Archive » Il bicchiere mezzo pieno della didattica digitale
Feb 17, 2007 -
[…] Impressioni di quattro giorni in un liceo ad insegnare il Web 2.0 [Sergio Maistrello, Di quando sono tornato a scuola, 15 febbraio 2007] […]
destralab
Feb 17, 2007 -
due nipoti, 15 e 17 anni e tentativi infiniti… internet non è solo scaricare mp3, chattare con msn, io ci metto anche non è solo Windows, ho regalato loro il mio imac (quello colorato) e il maschietto (prima) portava ogni giorno a casa un giochino diverso, datogli dai compagnetti, con interminabili discussioni sul perchè non lo poteva usare :-).
Reazione alle mie “discussioni” da parte loro però quasi nessuna!
Bravissimi a scaricare, chattare, usare il bluetooth sul tel… ha ragione Mafe cmq, perchè dopo parlando con mia sorella ho scoperto che il blog il nipote (maschio) l’ha fatto e se lo tiene per se.
A volte credo anch’io di sbagliare, e che loro ci arriveranno con i loro tempi, forse dovremmo capirne di più dei loro linguaggi, entrare nel loro mondo, ma alla fine non demordo e a rischio di passare per la zia noiosa continuo a provarci comunque
destralab
Feb 17, 2007 -
dimenticavo… unico momento di entusiasmo per il mac e per la zia (nel frattempo l’ho spuntata e hanno comprato un nuovo mac), ovviamente, l’arrivo in regalo dell’ipod
Philapple
Feb 17, 2007 -
Più che d’accordo.
I miei compagni (seconda liceo) non sanno nemmeno cosa sia un blog e i pochi che lo sanno lo associano irrimediabilmente, con mia enorme tristezza, a MSN Spaces.
Non li leggono (a malapena forse ne hanno mai visto uno), non sanno cosa sia un feeds rss e se non fosse per Wikipedia (alla quale continuano a preferire Encarta) non avrebbero mai navigato su un Wiki.
Le fotografie non le condividono, internet lo usano solo per scaricare film, musica e martellare i contatti di msn (aim, gtalk, skype. Tutti nomi mai sentiti….).
Non penso che abbiamo mai messo piede (si fa per dire) su un servizio Web2.0 che non sia YouTube: Flickr, Google Reader, Google Docs, Del.icio.us, Digg non sanno cosa sono e, soprattutto, non ne capiscono l’utilità.
Tornando al blog, è una fortuna che quei pochi che ce l’hanno usino MSN per crearli e che per questo siano tutti privati e che solo i contatti li possano leggere.
Sono un copia e incolla unico di poesie e di canzoni orribili, un insieme disordinato di pensieri per la maggior parte messi giù malamente, con la scrittura identica di un SMS.
floria
Feb 17, 2007 -
Non sono d’accordo. Mi sento di spezzare una lancia in difesa dei ragazzi. Non è che la “conferenza”, o il ciclo di lezioni dell’esperto rappresentano magari una strategia comunicativa sbagliata in questo contesto e per questo scopo?
Quanto all’inglese: immagino che quella ragazzina abbia voluto semplicemente provocare, nel modo un po’ snobistico che a volte gli adolescenti (soprattutto quelli che si credocno più acculturati) usano. Io insegno latino ma, ci crederesti? mi ritrovo a difendere lo studio dell’inglese più dei professori di quella disciplina (per esempio segnalando validi siti di risorse per classicisti regolarmente in inglese). Invece di contrapporre le lingue classiche all’anglico idioma, sarebbe stato forse preferibile farle presente che se in futuro avesse voluto studiare “bene” latino e greco, avrebbe fatto meglio a masticare qualche lingua straniera (ne servirebbero almeno tre, per la precisione). E poi è vero che talvolta si abusa del gergo anglicizzante, specie in certi ambiti … ma questo lo dico sottovoce.
24frames
Feb 17, 2007 -
Molto bello quello che hai scritto.
Mi chiedo, però, quanto influisce il fatto che la comunicazione delle applicazioni del web2.0 “sia relegata” in un certo senso al tam tam ottuso dei comunicatori di massa. Voglio dire: o si è un adolescente, la famosa eccezione, curioso e già inserito in rete oppure quello che arriva a questi adolescenti è una scarna comunicazione dai telegiornali (per cui Youtube è un girone dantesco) o da qualche pubblicità sul web per cui se ti apri un blog con myspace acchiappi di più). Non dimentichiamoci che loro sono figli di una generazione abituata ad assorbire le informazioni in modo pull).
Se fossero più “educati” e curiosi gli insegnanti per primi, di greco, di matematica, di educazione civica (?) ecc…secondo te cambierebbe qualcosa? Se un docente di latino scoprisse in che modo si possono cercare informazioni sulla sua materia con un click, come si possono condividere i documenti, in quanti modi si possa “declinare” un lavoro su Ovidio(lavori multimediali sull’autore), e che esistono pure blog scritti in latino, seconod te cambierebbe qualcosa?
E’ utopia pura?
24frames
Feb 17, 2007 -
ovviamente alcuni insegnanti informati e innovativi già lo sono! Ma forse sono rari e con tutte le difficoltà di lavorare nella struttura scolastica.
Sergio Maistrello
Feb 17, 2007 -
Usti che bel dibattito. Grazie a tutti, davvero. Ne sta venendo fuori un bel gioco dell’elefante. Provo ad andare per argomenti più che per persone.
Sulla complicazione delle cose per i ragazzi scontate. Mafe, ci ho pensato un po’, hai ragione. Ma nello stesso tempo pensavo: quando io giocavo con la telecamera a scuola avrei baciato i piedi all’insegnante che m’avesse messo in testa qualche confine teorico a quel mondo che per me era ancora puro istinto. Perché non può valere anche coi blog? Lasciamo stare la teoria, che ci porta fuori strada. Restiamo sul pratico: far conoscere Flickr a chi ama la fotografia o Last.fm a chi ama la musica mi pare un’ora potenzialmente ben spesa a quell’età. Eppure di guizzi negli occhi ne ho visti pochini. Colpa più mia che loro, ne sono cosciente.
Sull’uso dei termini inglesi (floria, pietroizzo). Credo (spero) che il mio lavoro testimoni quanto io auspichi un linguaggio che non abbia bisogno di luoghi comuni informatici o markettari – a maggior ragione in inglese, quando esistono corrispondenti in italiano. Che poi sia criminale che genitori e istituzioni scolastiche permettano a un diciottenne di uscire da un percorso di studi senza basi di inglese quanto meno solide, mi pare siamo tutti d’accordo.
Sull’uso degli esperti a scuola (floria, 24frames). Beh, vi sorprenderò. Anche secondo me non ci dovrebbero essere. E nonostante io non mi riconosca in nessuna delle definizioni che avete dato riguardo al comunicatore di massa di turno, confermo che non è proprio il mio mestiere, che mi ci sono trovato per caso e che difficilmente ricapiterà – quanto meno in queste vesti. Detto ciò, mi pare che i problemi siano ben più profondi e strutturali e secondo me riguardano più chi nella scuola ci vive a tempo pieno che gli ospiti in sé. Una scuola che non sa approfittare di un esperto appositamente invitato non è una scuola in salute.
Da figlio di insegnante che ha enorme rispetto per gli insegnanti e per i problemi inenarrabili con cui gli insegnanti combattono tutti i giorni, io tutto faccio tranne che banalizzare quello che ho visto nella mia settimana di docenza. Constato però che se quando io ero al liceo i problemi (burocratici, organizzativi, comportamentali e quant’altro) erano 10 e oggi mi sono sembrati 100. E forse i ragazzi non sono il primo, con buona pace dalla loro esuberanza adolescenziale.
Riguardo agli insegnanti informati(zzati) e innovativi, che dovrebbero contaminare di opportunità digitali le loro materie, non posso che essere d’accordo. È l’unica vera strada percorribile, le altre sono scorciatoie. In questo senso cito sempre l’esperienza dei blog didattici, quando posso. Per contro non vedo soluzioni a breve: non tutti hanno la vocazione e la capacità di rimettere in discussione metodi consolidati, e in questo caso possiamo soltanto attendere il ricambio generazionale. E quand’anche le vocazioni esistono, le strutture scolastiche sono quelle che sono e vanno divise equamente tra centinaia di studenti, il che limita limita in partenza le opportunità. Per non parlare dei programmi, sui quali nemmeno metto bocca. Il cambiamento richiede un tempo strutturale, anche se già sappiamo che questo tempo non sarà né competitivo né accettabile.
In fin dei conti, il mio post qui sopra – ora lo metto a fuoco un po’ meglio – nasceva da una delusione. Avevo un obiettivo e mi rendo conto di averlo solo sfiorato, per mille motivi. Riuscire a far passare ai ragazzi che mi ascoltavano il concetto – secondo me centrale, fondamentale, urgente – che oggi ognuno di loro ha l’opportunità di creare e di condividere. Da sé, in prima persona, senza nessuna mediazione, senza aspettare più che qualche redazione di qualche rivista s’interessi ai loro grandi interessi; senza aspettare che qualcuno si accorga di loro per cominciare a dare forma al loro punto di vista. Gli strumenti, la teoria, gli esercizi di avvicinamento sono solo un pretesto. Il punto è il ribaltamento del sistema in cui sono inseriti, un ribaltamento che li riguarderà da vicino e che la scuola, per il fatto stesso di essere parte di questo sistema, difficilmente sarà in grado di raccontargli per tempo.
Quello che mi ha lasciato più perplesso non è stata tanto la difficoltà di farlo in 20 ore, quanto il vedere che quasi nessuno dimostrava lo stimolo di aggrapparsi a quel salvagente lanciato dentro al loro mondo virtuale di note, di giustificazioni, di esercitazioni antincendio, di ricreazioni, di idee riciclate, di copia incolla e di attesa della campanella dell’una.
floria
Feb 17, 2007 -
Mi sono ricollegata a questo post per raccontare nel mio blog una mia esperienza (piuttosto casuale, a dire il vero, ma sono le migliori) di segno diverso. Una cosa, tuttavia, mi sento di dirla. E’ chiaro che il contesto della scuola italiana è problematico, oggi più di ieri. Per quanto riguarda l’innovazione tecnologica, si continuano a spendere risorse per organizzare corsi per l’ECDL e non parliamo poi del cosiddetto PNI, Piano Nazionale dell’Informatica. Io insegno in classi PNI, i ragazzi svolgono un diverso programma di matematica e fisica rispetto all’indirizzo tradizionale (e vedono il laboratorio tre volte in un anno, se va bene), tutti o quasi seguono i corsi ECDL e poi, spesso, quando hanno problemi con la posta elettronica vengono da me, insegnante di latino senza ECDL, per avere consigli e dritte. Nella mia scuola mi sono fatta la fama di grande esperta, perché ho un blog, smanetto sul computer per mio conto, so qualcosa di HTML e in genere i programmi me li istallo da sola senza ricorrere al tecnico: in realtà sono solo un’utente media sufficientemente consapevole di determinate dinamiche ma tant’è. A me piacerebbe che si parlasse di più, che so, di opensource, di condivisione, di apprendimento collaborativo … ma siamo ancora piuttosto indietro. Comunque, visto che stasera sono in vena di farmi pubblicità, segnalo questo mio intervento dell’anno scorso sul tema, intervento svolto durante un dibattito organizzato dal Dipartimento di Studi Italianistici dell’Università di Pisa: http://www.humnet.unipi.it/ital/cd2006/lavori/letteratura_e_internet2.pdf.
24frames
Feb 18, 2007 -
Sergio: ovviamente per comunicatori di massa intendevo giornalisti tv, giornalisti carta stampata (non specialistica). Ben vengano, a mio parere, gli ospiti esperti nelle scuole. Ma insieme a questi, appunto, bisognerebbe formare i formatori (quanti insegnanti ci sono che pensano al “computer” solo come una evoluzione della macchina da scrivere?)
🙂
mafe
Feb 18, 2007 -
mmmmmmhhh…
Secondo me finché dai per scontato che loro Flickr o Last.fm non li conoscono già, difficilissimo entrare in contatto e farsi prendere sul serio.
Io ricordo un’insegnante miracolosa che ci ha fatto amare l’inglese traducendo i testi delle canzoni, però chiedeva a noi quali ascoltavamo, non arrivava tutta convinta a farci scoprire le sue 🙂
Il blog nella didattica
Feb 18, 2007 -
Per chi suona la campanella
Riflessioni
Al rogo le cose per cui dovremmo essere curiosi. (per una guerriglia silenziosa e anticomunicativa) : Sproloqui semiosici
Feb 18, 2007 -
[…] Due post letti negli ultimi giorni mi hanno fatto riflettere un poco, anche se in realtà prenderò più che altro spunto da alcuni commenti che li hanno accompagnati per descrivere un certo tipo di noia e di sofferenza. Come molti non possono arrivare a capire perché non appartengono alla generazione di chi é nato nel mondo digitale, perché usano gli strumenti di oggi con gli occhi di ieri. […]
cesare
Feb 19, 2007 -
Uhmmm, mi sa che ho scordato come si fa il trackback 🙂 non vedo nulla, per cui provo con il metodo manuale:
di quando tutto il mondo è paese
Angele-Face
Feb 19, 2007 -
E perchè la scuola dovrebbe essere come il pub? Un Ispettore mi ha detto che lo studio è “contro natura”…cioè non esiste in natura, che ama l’apprendimento per imitazione. Lo studio l’ha inventato l’uomo e costa fatica, fatica, fatica. Se i ragazzi non capiscono, o nessuno glielo fa capire, l’uso sociale delle conoscenze perchè dovrebbero amare lo studio? Che poi la scuola sia regolata da una campanella…….qual è lo scandalo? Sui posti di lavoro c’è la sirena……….Vivo di scuola e non seguo lo sport nazionale, masochistico, dello sputtanamento.
Sergio Maistrello
Feb 19, 2007 -
ohibò, Angele-Face, spiegami meglio questa cosa dello sport nazionale che mi è sfuggita
(a cesare rispondo nei suoi commenti)
Titti Zingone-MarketingPark
Feb 20, 2007 -
Certi interessi o passioni cominciano talvolta tra le mura di casa, a contatto con genitori/fratelli/cugini a loro volta appassionati.
Così cominciai ad amare le buone letture nell’infanzia, tanti hobby e la tecnologia poi.
Mi viene da pensare che forse quei ragazzi vivono in case ove i genitori si materializzano solo alle sette di sera, quando si ha solo il tempo e la voglia di cenare e guardare un po’ di orrida tv.
Avrei comunque provato anch’io il tuo stesso disagio, Sergio.
Cari Saluti
TZ
Dree
Feb 20, 2007 -
Ho letto il post, poi ho iniziato con i commenti ma mi son stufato… quando leggo «i giovani d’oggi» e «ai miei tempi» mi vien male, sorry. Sto assolutamente dalla loro parte e vado a scaricarmi qualche mp3 che da quando ho un blog non ho tempo per la musica e mi manca assai 😛
ah, però vorrei consolarti un poco: ci sono professori che non cagavo ma han seminato e me ne sono accorto anni dopo
Il Web2.0 e la scuola at La Scala di Corda
Feb 20, 2007 -
[…] Sto seguendo con molto interesse questa discussione, che si è allargata anche qui qui e qui. Con interesse, perché ho avuto modo di fare una piccola esperienza in tal senso e perché mi accingo a progettare un corso di formazione ai docenti proprio su questi temi. Per fortuna, l’esperienza che ho fatto è stata abbastanza diversa: mi sono trovato in un’aula di persone ben motivate, con una buona conoscenza di base e che già, almeno in parte, utilizzava i blog a fini didattici. Non ho dubbi, però, che la situazione media sia quella descritta da Sergio e parafrasata dagli altri che sono intervenuti. Del resto, anche tra i miei amici e colleghi, fare proselitismo sul Web2.0 e gli strumenti che mette a disposizione è molto difficile, anche quando ci si trova costretti a lavorare in gruppo, ma a distanza. D’altro canto, si può escludere la scuola da questo cambiamento? Limitarsi ad aspettare il ricambio generazionale? Per quanto anche molti degli studenti possano essere poco interessati a questi temi e si limitino ad utilizzare la rete per chattare su MSN (brrrr) e scaricare mp3, comunque stanno cambiando. Crescere con internet, il cellulare, la banda larga, la Xbox, significa fare delle esperienze cognitive che cambiano il modo di pensare, probabilmente anche l’architettura cerebrale. Magari qui, alla periferia dell’impero, accade tutto più lentamente, ma comunque i nostri ragazzi dovranno, in futuro, confrontarsi con i loro coetanei che sono già adesso molto più bravi di loro a sfruttare le potenzialità messe a disposizione dalla rete. E allora credo che la scuola debba cercare di introdurre e fornire esempi positivi di utilizzo degli strumenti di apprendimento collaborativo, lavoro di gruppo, networking sociale e professionale, nonostante l’arretratezza del sistema, le resistenze dei professori, il disinteresse (apparente?) dei ragazzi. Del resto, non soltanto tra i blog, di esperienze formative in tal senso ne ho sentito parlare in tante occasioni, ma nello stesso tempo tutti lamentarsi. Da esterno, mi chiedo cosa resta di questi corsi; insomma, sarebbe interessante capire se e quanto funzionano ed eventualmente perché no. E a che punto del cambiamento siano i nostri ragazzi e i nostri insegnanti. Gregarious […]
Speranze afflitte da carenza d’interesse at Yaab
Feb 26, 2007 -
[…] PS: questo post è venuto alla luce grazie all’inspirazione data da Maistrello, devo ringraziarlo per avermi fatto scrivere su un argomento che di recente avevo completamente tralasciato. Tags:adolescenti giovani internet msn ragazzi social sociale web2.0 wikipedia […]
bayle
Feb 26, 2007 -
Dree, un conto è usare internet per azioni illegali (quali scaricare mp3 da emule), altro conto è usare internet per scrivere, dialogare, comunicare.
Te lo dice uno scemo, che tra i quindicenni ci vive quotidianamente, perlomeno 5 ore al giorno.
I giovani vedono le opportunità – oramai nella mia classe è chiara la superiorità di Wikipedia sulle altre enciclopedie – ma non vogliono sfruttarle. Mancanza di tempo o di capacità? No mancanza di curiosità.
E tutti sanno che è la curiosità a tirare avanti il mondo. 🙂
stefano
Mar 1, 2007 -
Come il giornalismo, anche l’insegnamento mi è capitato tra capo e collo. La mia veste di docente di sostegno mi permette di stare un po’ dalla parte dei prof, un po’ da quella degli studenti e, se devo dirla tutta, nell’animo mi sento più vicino ai ragazzi.
In una media, forse, quelle creature non sono ancora abbastanza mature per poter capire che la scuola è più utile a loro di quanto non sia per gli insegnanti (che prendono uno stipendio). Personalmente il gusto dell'”imparare” l’ho scoperto solo all’università, e nemmeno al primo anno.
I problemi sono diversi. Qualcuno ha parlato di famiglie assenti (non so quanto sia significativo, ma in quella classe, i figli di genitori divorziati o iper-occupati, sono letteralente allo sbando, viziati e sempre giustificati), è vero, ma c’è dell’altro nell’apatia di chi va a scuola. Ad esempio, i prof non hanno più armi per farsi rispettare: anche le matite sono ormai spuntate (e non parliamo del caso della prof che ha tagliato la lingua al ragazzino con la forbice perché, nonostante i processi mediatici, secondo me, anche se ha sbagliato, la vittima è lei).
Anche se non avrei mai pensato di poter dire una cosa del genere, credo che fino a una certa età, l’unica via per ottenere qualcosa è quella del terrore. Avete idea di quante note sul registro volino? Sono infinite. Risultati? 0! Ai ragazzi non fanno né caldo né freddo perché tanto una giustificazione da trovare con la famiglia c’è sempre e perché poi, anche se arriva la sospensione, tanto, prima di essere bocciati, bisogna almeno allagare la scuola o riprendere con il telefono le angherie del branco e metterle in rete (anche se in modo improprio, questo è usare la tecnologia, credo).
Tutto quello che avviene entro quelle quattro mura, per la maggior parte di loro, è tempo perso.
Nelle ore di supplenza ho provato a mettermi al loro livello, a parlare di “50 cent” con quello vestito da rapper. Risultati? nessuno. Anche se per me i trenta sono passati solo da una manciata di anni, sono comunque troppo vecchio. Sono troppo vecchio per un motivo molto semplice: perché tento di spiegare loro qualcosa del mondo esterno. Un mondo che invece vogliono scoprire da soli. Il problema però è che non sono capaci.
e allora come si fa? è un cane che si morde la coda?
Come tutti, prima o poi, la molleranno sta benedetta coda. Spero…
(…di non essere stato troppo confuso).
Il (non)rapporto fra Web2.0 e giovani « Blog di un Blogger
Mar 2, 2007 -
[…] Il (non)rapporto fra Web2.0 e giovani Circa una settimana fa ho trovato in rete un post piuttosto interessante sul blog di Sergo Mainstrello (avevo pure intenzione di riprenderlo in Mac Blog ma alla fine mi sono dimenticato…) nel corso del quale l’autore scriveva della totale ignoranza e impassibilità riscontrata dai giovani mentre tentava di spiegare loro il Web2.0 e le sue potenzialità. Io non posso che essere d’accordo. Facendo la seconda liceo ho un esempio lampate e ravvicinato di come, ai giovani, di blog, wiki o altro proprio non gli interessi nulla. I miei compagni non sanno nemmeno cosa sia un blog e i pochi che lo conoscono lo associano irrimediabilmente, con mia enorme tristezza, a MSN Spaces. Non li leggono (a malapena forse ne hanno mai visto uno), non sanno cosa sia un feeds rss e se non fosse per Wikipedia (alla quale continuano a preferire Encarta) non avrebbero mai navigato su un Wiki. Le fotografie non le condividono, internet lo usano solo per scaricare film, musica e martellare i contatti di msn (aim, gtalk, skype. Tutti nomi mai sentiti….). Non penso che abbiamo mai messo piede (si fa per dire) su un servizio Web2.0 che non sia YouTube: Flickr, Google Reader, Google Docs, Del.icio.us, Digg non sanno cosa sono e, soprattutto, non ne capiscono l’utilità. Tornando al blog, è una fortuna che quei pochi che ce l’hanno usino MSN per crearli e che per questo siano tutti privati e che solo i contatti li possano leggere. Sono un copia e incolla unico di poesie e di canzoni orribili, un insieme disordinato di pensieri per la maggior parte messi giù malamente, con la scrittura identica di un SMS. […]
Luisanna Fiorini
Mar 18, 2007 -
Venerdi ho parlato in un convegno a bolzano, in http://www.bolzanoconversation.it/07/index.htm
sul tema:
Xpensiero, etichette per costruire significato.
http://www.scuola3d.eu/weblog/?p=339
Problemi grandi con la scuola (insegnanti, decisori, strutture e curricola) a proposito di un nuovo atteggiamento verso l’apprendimento e la costruzione della conoscenza.
L’unico relatore con cui sono entrata in sintonia è Teemu Arina, Finlandese, 25 anni, che ha parlato di apprendimento informale attraverso la serendipity
Oddio.
io ne ho 47.
Che faccio, mi preoccupo?
Anto
Mar 25, 2007 -
Scopro tardivamente questo post, dopo mesi a leggere, studiare, parlare e sentire parlare di “nativi digitali”.
La sintesi di Sergio è misurata e profonda: la migliore che mi è capitato di leggere ultimamente.
Ai ragazzi non interessa sapere cos’è il social software, almeno quanto non interessa loro conoscere la tecnologia che sta dietro gli sms: li usano, ed è sufficiente per loro.
Non a caso, anche i meno digitali e i …meno nativi 🙂 sono in genere bravissimi a scaricare mp3 e film.. Non sono capaci a inviare una email, ho letto in commento; soltanto perchè forse la email non è divertente come chattare in MSN o usare eMule per vedersi un film ..aggratis!
Ci affanniamo a voler fornire loro una cultura digitale, un’educazione ai media? A loro probabilmente non serve.
Carlo Columba
Mar 25, 2007 -
Tema scottante, voglia di intervenire parecchia, timore di dire cose sgradevoli tanta.
Premessa: sono un insegnante.
Tento, sottolineo tento, di insegnare elettronica a ragazzi la cui età va circa dai 16 ai venti anni. Abbastanza grandi quindi, anche se non si per cosa, grandi.
Intanto vorrei sfatare un mito: non è affatto vero che i ragazzi siano più bravi di noi adulti (io 50 ahimè . .) nell’utilizzare il computer. Vero è che ci sono ragazzi e ragazzi . . . I miei, i nostri dei tecnici industriali, non è che siano molto sensibili alle sollecitazioni di tipo culturale. E già sono una meraviglia rispetto a quelli dei professionali. Sto divagando: insomma col computer hanno molta meno dimestichezza che con tante altre cose. Anche se lo usano ogni giorno, lo fanno più che altro per scaricare musica e chattare. E stop. Lo fanno, come giustamente faceva osservare un commento precedente, senza distinguere se stanno usando una cosa o un’altra. E così internet viene confusa con internet explorer, la chat con messenger e così via. Si comportano con il computer esattamente come fanno con la lingua italiana: impoveriscono e banalizzano. Pur insegnando una materia tecnica mi trovo costretto a spiegare e a cercare quotidianamente di valorizzare l’uso delle parole e della lingua. Ne usano troppo poche di parole!!! Sempre e solo parole generiche che significano tutto e niente!!
Non parliamo poi delle frasi! Quando si chiede di un certo argomento, 90 su cento la risposta consite nella classica domanda: > E qua devo fare tutti i miei sforzi per mascherare il mio divenire rosso, blu e verde per la rabbia . . .
Un anno, il primo durante il quale insegnavo in una quinta sperimentale, dovevo svolgere un programma essenzialmente di telecomunicazioni, materia ostica, vastissima e difficile. Situazione di partenza: disastrosa ( e te pareva . .)! Necessità quindi di cercare di trovare qualche strumento di interessamento e qualche metodologia con la quale superare il gap formativo esistente. Scopro in quel periodo un sito meraviglioso che si chiama HowStuffWorks (www.howstuffworks.com), un sito che spiega il funzionamento di molte cose tecnologicamente evolute e complesse e lo fa in modo divulgativo ed efficace. Meraviglia nelle meraviglie, scopro che tratta del funzionamento del telefono cellulare e qua si accende la lampadina! Centriamo lo studio a partire da questo argomento (in quegli anni TUTTI i ragazzi avevano già il cellulare e solo pochi avevano a casa un computer), e poi a poco a poco, cerchiamo di introdurre come conseguenza anche gli altri.
Perfetto, sembra funzionare, grande interesse iniziale, impiego una montagna di ore in traduzioni dall’inglese per facilitare loro il lavoro, li stimolo, li faccio parlare.
La delusione arriva nel giro di pochi giorni: > Insomma sapere come funziona un “aggeggio” che usano tutti i giorni e che per loro è veramente importante non è affatto un motivo sufficiente a convincerli a lavorare! Si può bene intuire come una cosa del genere sia scoraggiante . . .
Vado alle conclusioni.
Non c’è modo di motivare qualcuno che non vuole essere motivato. Per molti, troppi ragazzi la scuola è un qualcosa da lasciarsi passare sopra, praticamente in anestesia. L’età è quella che è, non possiamo ribellarci a questo. Quello che possiamo fare è però di metterli di fronte al corretto rapporto di causa ed effetto: hai imparato? Sei premiato! Non hai imparato? Sei penalizzato! Succede invece che tutti, da genitori, e anche da professori, tendiamo ad essere eccessivamente protettivi, a giustificare qualsiasi manchevolezza, a “capirli” in ogni circostanza. Così facendo stiamo, tutti, sbagliando, stiamo tutti privandoli della possibilità di apprezzare il vero dal falso, il vitale dal mortale, stiamo assecondando il loro rigirarsi indolentemente nel polverone dell’indistinto.
La chiudo qua. Non consideratemi, per favore, retrivo e furibondo: voglio bene ai miei alunni, e sono sempre pronto ad aiutarli quando devono affrontare una vera difficoltà della vita. Allo stesso tempo non posso non guardare con occhio disincantato alle dinamiche della scuola.
angela sugliano
Apr 5, 2007 -
…anch’io sono in ritardo, ma non posso non lasciare un post.
Sono impegnata sul fronte della formazione alle ICT: (1)all’università (genova) nei corsi di laurea di Scienze della Comunicazione e Scienze e Tecnologie della Comunicazione e Informazione e (2) per gli insegnanti (con la Patente Pedagogica Europea sulle TIC).
E sono anche una mamma di 4 bambini…
detto questo, penso e vedo due cose:
1) che dire “ai miei tempi” è una tentazione in cui nn dovremmo mai cadere: ognuno vive il suo tempo con un occhio diverso dagli altri (quante volte mi è capitato di conforntare i “miei tempi” con amici/amiche coetanei e scoprire che abbiamo vissuo tempi diversi!)ed è dall’epoca degli antici greci che si favoleggia di un’età dell’oro per non parlare di Cicerone (o tempora o mores!)
2)che è una pretesa forse sbagliata “far riflettere” i ragazzi sulle ICT (e tutte le loro conseguenze sociali e tecnologiche) e pretendere che si entusiasmino.
I docenti (ma si stanno formando solo ora i docenti preparati) sono i primi veicoli di ICT, ma devono far sì che la tecnologia sia “trasparente” ai ragazzi e usarla per veicolare i contenuti disciplinari propri delle loro materie: solo così (e senz’altro i ragazzi se ne renderanno conto “dopo” e forse dopo anni) – penso – si forniscono ai ragazzi strumenti per comprendere questo nuovo ambiente di vita, lavoro e comunicazione che è Internet.
…e poi forse “il computer” entusiasma solo noi “che non ce l’avevamo”.
Pensiero 3 « Insegnare e apprendere le ICT
Apr 5, 2007 -
[…] Pensiero 3 Oggi (molto prolifico in pensieri), ho incontrato questo post di Sergio Mistrello – fra i più conosciuti osservatori della rete, autore del recentissimo “La parte abitata della rete” e “fautore” della rete come luogo sociale. […]
Gemma Berri
Apr 15, 2007 -
Dopo Angelo e Carlo (che saluto e ringrazio per i loro insegnamenti nel tempo..), lascio un pensierino.
Anche io insegno, francese in un tecnico, e vedo che se le TIC sono applicate non in astratto, ma a situazioni vere – Etwinning, per esempio, il gemellaggio via Internet per chi non può viaggiare…- anche i più distratti si interessano, per quanto possono.
E poi, fuori della scuola, riapplicano quanto fatto, ma senza l’etichetta scolastica.
Sono capo scout e i miei scouts adolescenti – grazie ai corsi fatti a scuola ma non lo devono ammettere…- rispetto agli studeti sono più sensibili all’uso consapevole delle tecnologie, non solo al consumo, eppure alcuni sono gli stessi ragazzi di cui parlava Carlo.
scuola » Blog Archive » Il bicchiere mezzo pieno della didattica digitale
Apr 30, 2007 -
[…] Impressioni di quattro giorni in un liceo ad insegnare il Web 2.0 [Sergio Maistrello, Di quando sono tornato a scuola, 15 febbraio 2007] […]
Paolo Fasce
Mag 1, 2007 -
Interessante il tuo contributo “emotivo”, per parte mia potrei esprimere sentimenti similari perche’ il primo impatto con il mondo della scuola e’ sempre violento. Non tanto per la scuola in se’, ma perche’ volenti o nolenti si fanno sempre i conti con i propri ricordi e i propri vissuti. A scuola ci siamo andati tutti…
Durante la Scuola di Specializzazione ho avuto modo di fare un tirocinio che mi ha permesso di approfittare di questa emotivita’ in senso critico e quando sono entrato in classe come docente, avevo gia’ archiviato questa fase.
L’insegnamento piu’ grande che ho avuto dalla SSIS, specie dall’area didattica disciplinare, e’ il fatto che la mastodontica scuola si muove secondo dinamiche abbastanza “classiche” ed e’ la nuova generazione di insegnanti, con il proprio bagaglio tecnico e culturale che si deve fare promotrice del rinnovamento. Volendo ci si puo’ accomodare, ma si farebbe un torto a noi stessi e alla nostra preparazione. Parafrasando JFK: “non chiederti cosa il tuo paese puo’ fare per te, domandati cosa puoi fare tu per il tuo paese”. IMHO Vale la stessa cosa per gli insegnanti e la scuola.
Ciao ciao.
gabriella
Mag 4, 2007 -
per la serie i miei tempi sono sempre i migliori, mi pare che le ventate nostalgiche offuschino troppo spesso la possibilità di una comunicazione soddisfacente (e poi soddisfacente per chi?)….
i tempi in questo mi pare non cambino mai…
lasciamo che i giovani facciano quello che gli riesce benissimo e cioè ribellarsi con i loro strumenti (mi riferisco a quelli leciti e civili) a tutto ciò che pretendiamo di inculcare pensando di essere dalla parta giusta, permettiamo loro di esprimere la loro noia verso tutti noi saccenti forse così si libererà creatività nuova, del resto è quello che anche noi ai nostri tempi abbiamo preteso e spero per chi legge ottenuto
Sergio Maistrello
Mag 4, 2007 -
Io continuo a ringraziarvi di tutti i vostri commenti, soprattutto quelli che a loro volta rispondono con un’esperienza personale. Credo che questa discussione ci stia arricchendo tutti.
Vi chiedo però di leggere con attenzione il mio spunto originale, non soltanto di prenderlo di petto alla luce di commenti critici che ne hanno in buona sostanza stravolto il senso. Chi non coglie nelle mie parole la passione, l’ironia, lo spirito di confronto, la disponibilità a prescindere a mettermi in gioco con i più giovani, forse si è perso qualcosa. A cominciare dal contesto in cui questo post è pubblicato, ovvero il mio sito, la mia storia, la mia attività, il mio impegno anche in questo campo.
Tutto giusto e ogni critica è benvenuta, sia chiaro, ma l’ennesimo commentatore che a prescindere da tutto mi dà del vetero-babbione-tecno-rincoglionito rinchiuso nel suo recinto, impermeabile al nuovo, ai giovani e alla comunicazione, nonché allergico all’istituzione scuola, beh abbiate pazienza, ma mi fa girar le rotelle. Per favore, rileggetevi quello che ho scritto, come lo ho scritto e rileggetevi anche altre cose che ho scritto in proposito. Poi, se avete voglia di discuterne, ne discutiamo.
katiuscia scalzone
Dic 17, 2007 -
ti dico solo una cosa:”fa letteralmente schifo” anzi sono entrata x caso , quindi capisci che vergogna di leggere questa schifezza.
orribile!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Sergio Maistrello
Dic 17, 2007 -
ohibo, katiuscia. prendo e porto a casa, figurati. ma se avevi un’opportunità di dare un contributo positivo, direi che l’hai perso. peccato. così ci abbiamo perso in due.
They’re all thumbs « Mordennau
Nov 14, 2008 -
[…] Un dibattito molto interessante (in italiano) […]
DestraLab » Allarmi
Dic 6, 2008 -
[…] figli legge, ma vero è che la stragrande maggioranza dei nostri ragazzi, qui uno saggio ed esperto ne parlava qualche tempo fa, ne fa un uso completamente diverso e le percentuali di lettura degli adolescenti italiani, sono a […]
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Gen 21, 2009 -
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Di quando cambiando l’ordine dei fattori… : Catepol 3.0
Giu 9, 2010 -
[…] questo e poi leggo questo. Mi ricordo di aver scritto qui tra queste pagine questo e questo. […]
fabbrizio
Gen 1, 2011 -
dice la mia maestra quando ci lascia soli non bisogno fare i bravi_:)