La finestra di fronte
Ozpetec è bravo. Ho amato tanto Il bagno turco e Le fate ignoranti. Per questo mi suona quanto meno stonato definire La finestra di fronte un film carino.

Dei lavori precedenti conserva la capacità non comune di arrivare con le immagini oltre il punto in cui si fermano le parole. Nonostante il regista lo definisca un film molto personale, però, ho trovato solo tracce dell’intimità che accompagnava lo spettatore attraverso i vicoli di Istanbul o alla scoperta di una Roma inaspettata. Erano percorsi lievissimi dentro storie e dentro paesaggi, dei quali spesso si prendeva coscienza solo al termine della proiezione. Erano sottointesi, indizi appena accennati, sensazioni che il più delle volte non avevano necessità di scoprirsi.

Nella Finestra di  fronte, invece, c’è un disegno narrativo che sembra avere fretta di mostrarsi: (quasi) irruento nel mettere carne al fuoco, (quasi) frettoloso nel dare spessore ai personaggi con risultati non sempre coerenti, (quasi) compiaciuto nel momento in cui tutto si svela. Ci sono momenti di poesia visiva: quando presente e passato si fondono nella memoria confusa di Davide per le strade del ghetto ebraico, nel luccichio della sigaretta di Giovanna nel buio della cucina o nel primo piano finale di Giovanna. Da soli valgono il film, ma non tolgono l’impressione di un cast non completamente amalgamato, nonostante un commovente Massimo Girotti, una Giovanna Mezzogiorno all’altezza e una simpaticissima Serra Yilmaz (perfetta caratterista per le atmosfere di Ozpetec). Raoul Bova non delude nei panni dell’anonimo vicino, ma nemmeno rende completamente giustizia al suo personaggio. Non basta un paio di occhiali.

Detto questo, definire La finestra di fronte la versione proletaria dell’ultimo film di Muccino mi sembra appena un po’ azzardato.