Ma sì, il sessantotto. E poi il sessantanove, il settanta, il settantuno, e via fino al duemilauno, duemiladue, duemilatre, e la delusione sul volto di Matthew nella scena finale che è probabilmente la stessa di molti di fronte alle ribellioni ragionevoli di questi anni condotte in modo irragionevole. Non mi è dispiaciuto The Dreamers. Non mi ha nemmeno esaltato, a essere sincero, ma di questi tempi ho fatto l’abitudine a uscire scettico dalla sala. L’ho trovato denso di fascino: a volte sprecato, a volte compiaciuto, a volte intenso e raffinato. Talvolta è superficiale nel dipingere i tre protagonisti e spesso ha il fiato corto nel tenere il filo dei giorni che passano. Tuttavia sulle perplessità trionfano scene e citazioni di grande impatto visivo, che – piaccia o meno il film nella sua interezza – ci accompagneranno a lungo: peccato soltanto che la loro intensità sia stata svilita da settimane di antipazioni su locandine, riviste e tv. Ho amato The Dreamers per brevi istanti, quando è più genuina la complicità adolescenziale tra i protagonisti e i film della loro vita. Nelle scene che si perdono tra presente e pellicola (così come era stato, a modo loro, in Garage Demi o in Nuovo Cinema Paradiso) c’è un tentativo di onorare la magia del cinema nella vita di tutti i giorni che immancabilmente mi emoziona.
Il blog di Sergio Maistrello dal 2003
Ottobre
14
2003
Il senso dei sognatori per il cinema
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