Non è che per il momento ci stia pensando molto. Al trasloco, dico. Un po’ è perché fino all’ultimo il lavoro e gli adempimenti burocratici non daranno tregua. E poi, in un monolocale, o ci vivi o ci metti gli scatoloni: tanto vale pensarci all’ultimo. Una cosa è certa: chi dice «un monolocale? non avrai poi molte cose da preparare!» – e non sono stati pochi finora -, non deve aver mai vissuto in un miniappartamento.

Quello che mi colpisce, in queste settimane di sospensione, è soprattutto riscoprire gli oggetti che appartengono ai primi mesi passati a Milano. Rileggo gli stessi libri, ascolto gli stessi dischi, mi capitano in mano le cose che il tempo ha spinto in fondo ai cassetti. La sensazione è strana, come guardarsi in uno specchio e vedersi quattro anni più giovane: rivivo le attese, l’emozione, le speranze di quel ventottenne sbarcato da un giorno all’altro nella metropoli. Mi riconosco, ho l’orgoglio di non aver tradito quel ragazzo. Ma è tempo di andare avanti, crescere altri quattro e poi quattro anni ancora. E questi, come direbbe Stefania, sono solo gli echi di un cerchio che si sta chiudendo.