Mettiamola così. Io non voterò nessuno (nessun partito, vista la nuova legge elettorale) che avrà investito i mesi che ci separano dal 9 aprile nella delegittimazione dei propri avversari, nel battibecco rituale e nel parlar per luoghi comuni.

Cerco gente di poche ideologie e molti fatti, che non riempia migliaia di pagine di principi assoluti, né occupi ore di trasmissioni garantite, né riduca la campagna in barzellette sei-metri-per-tre, ma diffonda pochi semplici schemi di idee applicabili in meno di cinque anni (e qualche linea più generale di continuità extra mandato). Vorrei capire, senza correre il rischio di interpretarli troppo tardi, che cosa i nostri aspiranti deputati e senatori intendono fare per garantire l’inizio di una nuova fase di sostenibilità nell’ambiente e in economia (nulla di più fantasioso che riaprire le centrali a carbone in disuso? niente di meglio che rimandare a oltranza il crollo di Alitalia?); quanto Pil contano di riversare nella ricerca (non se, ma quale percentuale minima e fin dalla prima finanziaria); come pensano di poter sviluppare le infrastrutture digitali (non se, ma come pensano di farlo); come ritengono di posizionare l’Italia rispetto ai grandi temi di politica estera (con gli slogan si fa poco, preferisco tanto realismo a questo punto) e come intendono garantire che il rischio di impresa non continui a trasferirsi progressivamente sui lavoratori (e sui lavoratori giovani, in particolare).

Se un qualunque partito di qui ad aprile avrà dato risposte convincenti a tutti questi punti – e, a parità di proposte, ci aggiungerà dell’altro – avrà il mio voto. Fosse anche il partito dell’amore.

Nel frattempo, entrambi i maggiori schieramenti stanno cercando il dialogo (un link a sinistra, un link a destra). Mi piacerebbe che il buon senso che spesso riconosco ai blog si trasformasse in pressione positiva, in stimoli, in dibattito. Ci stanno chiedendo di discutere le idee, e io penso che forse è una buona occasione per vedere se sono ancora capaci di ascoltare.