Se non ti chiedi come funziona quello che funziona, chi c’è dietro a tutta la cura che serve, comprendi solo una parte della tua città.

Dietro a Pordenone, dietro alle persone che ci hanno messo di volta in volta la faccia, com’è giusto che sia, dietro all’esplosione di eventi culturali e alla capacità della città di fare cose e attirare attenzione, negli ultimi vent’anni c’è stato soprattutto un manipolo di persone giovani, preparate, intraprendenti, la testa veloce quanto le mani, dotate di una passione e di un senso del servizio civico fuori dal comune.

O per meglio dire dentro al comune, perché in effetti l’epicentro di questa congiuntura straordinaria che ha contribuito a scuotere una città di fabbriche e caserme è stato proprio nella pancia del municipio. E l’epicentro dell’epicentro, nella mia immaginazione, era la scrivania di Bertilla Fantin, una scrivania il più delle volte vuota perché la città intera era per lei postazione di lavoro.

Allora forse si può intuire che cosa ha perso oggi Pordenone. Un ingranaggio di quelli che riparare il motore poi è un bel casino, che mica esistono le fabbriche di ingranaggi così. Un equilibrio meraviglioso di coscienza pubblica, efficienza privata, pratica, motivazione, capacità di trovare una soluzione per ogni problema.

E questo ancora è nulla di fronte alla simpatia, che scaturiva fin dal nome, alla carica umana, alla leggerezza, alla discrezione, alla benevolenza per il prossimo, all’amore per la città. Una persona molto speciale, che ti conquistava con naturalezza in un attimo e che poi non dimenticavi più, come confermerà probabilmente in queste ore chiunque l’abbia conosciuta.

Bertilla era un ingranaggio dell’anima di Pordenone. Non l’anima della Pordenon de ‘na volta, quella che fa tanta nostalgia. Ma l’anima della Pordenone di oggi, quella che stiamo ancora costruendo, a cui Bertilla ha dato tanto e ancora tanto avrebbe dovuto dare. Che fa rabbia, anche se un giorno rimarrà solo la riconoscenza.