Quando nel 2001 Gianluca Nicoletti e la neonata RaiNet fondarono Rai.it Community, comunità virtuale (poi trasformata in forum tematici) del portale della radiotelevisione di Stato, invitarono numerosi esperti del settore e addetti ai lavori a contribuire alla discussione inaugurale dedicata alle prospettive delle community di Internet. Questo è stato il mio intervento, pubblicato il 19 aprile del 2004.
Per anni abbiamo sognato che Internet diventasse un grande strumento a disposizione di tutti: oggi, semplificando la questione, possiamo dire che lo è in molti Paesi avanzati. Eppure la Rete non sembra come l’avevamo immaginata. È, invece, come abbiamo contribuito tutti a farla diventare: un fenomeno di massa. Sempre più televisione, sempre più gioco a premi, sempre più format. Come davanti a una televisione, stiamo lasciando che la nostra presenza si riduca al quarto d’ora di celebrità, alla visita al sito top, alla rincorsa dell’evento, alla fiction telematica. Non erano queste le premesse: ci siamo lasciati corrompere dai primi soldi facili; abbiamo lasciato che pochi, più bravi e smaliziati, prendessero in mano quello che doveva restare di tutti. Internet non può prosperare senza business, questo è ovvio, ma i modelli di business non hanno il diritto di prendere il sopravvento sui modelli di comunicazione. Altrimenti Internet sarà solo una tivù con un telecomando un po’ più difficile da usare.
Fino a qualche anno fa non serviva porre l’accento sulle community, perché l’intera Rete sapeva essere una comunità. Sarà per l’abbondanza di contenuti replicati o per la crescente autoreferenzialità, ma Internet mi sembra sempre più lontana dall’immagine iniziale di nodi, di computer e, quindi, di persone.
Oggi le comunità virtuali sono diventate un affare per aziende e imprenditori, ma la socializzazione in Rete non è un surgelato precotto, da mettere per dieci minuti nel forno a microonde, e poi servire prima che si raffreddi. Una comunità virtuale nasce dove nessuno l’ha concepita, in tempi e in modi che non sono codificabili a tavolino. Nasce dove cè qualcuno che ha qualcosa da dire e sceglie di condividerla, e non tanto, o per lo meno non solo, dove qualcuno investe in tecnologie e marketing.
Per contro: che cosa abbiamo davvero da condividere? A differenza di Paesi dove la Rete ha avuto più tempo per maturare, mi sembra che in Italia il sottobosco di siti personali e amatoriali, che sono poi il germoglio delle comunità, abbia saltato l’adolescenza. Siamo passati dai giocattoli multimediali agli esperimenti che fanno il verso ai siti “seri”, quelli in cui si tenta già di guadagnare scopiazzando cose già viste e già fatte. Dal parco giochi alla miniera, senza passare attraverso l’età dei contenuti, l’età delle contraddizioni, delle ingenuità e delle ribellioni. È l’esercizio senza altro scopo che l’affinare il gusto, il produrre qualcosa di nuovo e di personale, senza premi che non siano l’apprezzamento gratuito di chi passa accanto. È da qui che si parte per approfondire anche in Internet le proprie passioni, fino ad arrivare ai pochi luoghi di confronto che per ora sembrano funzionare, ovvero i newsgroup e i forum iperspecializzati.
Ma da qui si parte anche per diventare utenti consapevoli di questo mezzo e membri attivi di una rete di persone interconnesse. Focalizzarsi di nuovo sui contenuti, riempire di vissuto questo grande contenitore: credo sia questa la strada per arrivare a comunità che siano in grado di aggregarsi per scambiare opinioni, emozioni, conoscenze o presenze, e di organizzarsi per ottenere vantaggio da se stesse (penso alla promessa non ancora mantenuta dei gruppi di acquisto e delle lobby di utenti e consumatori).
Esistono posti così oggi in Rete? Sono sicuro di sì. Spero ne emergano molti in questa occasione.