Carino Buongiorno, notte. Peccato che continuassero a interrompere i filmati storici con il film.

No, sul serio: non mi è dispiaciuto del tutto, ha un suo fascino. Però in fin dei conti non è nulla: non è ricostruzione storica, non è approfondimento psicologico, non è fantasia. Si accontenta di essere atmosfera, e forse non basta. Sarà che di recente mi è capitato di leggere la raccolta delle lettere rese pubbliche tra quelle scritte da Moro durante la prigionia: così umane, e tormentate, e politiche che non mi accontento dello sguardo pur originale di Bellocchio.

Di sicuro non mi sorprende che non abbia vinto a Venezia: tutti quei sottointesi su fatti e persone di 25 anni fa devono essere sembrati ben poco immediati agli occhio di uno straniero.

Invece, quelle immagini d’epoca. Ora ho la certezza di subire il fascino di tutto ciò che appartiene a epoche in cui c’ero, ma non ero ancora partecipe. Diciamo tutto quanto è compreso tra il terremoto in Friuli (1976) e i mondiali di calcio in Spagna (1982). E dei piccoli particolari della tv di allora: la sigla del telegiornale (la serie di 2 che spuntavano uno sotto l’altro), le videografiche grezze (i titoli del tg scritti al computer che comparivano a tutto schermo dietro la scrivania), i conduttori (il giovane Giancarlo Santalmassi, il rassicurante Mario Pastore), le voci dei servizi (che facevano così televisione di Stato).

Me lo ricordo, il 1978: ricordo tutto quel parlare di Moro. Di Moro e del Papa polacco, si sentiva parlare. Io non capivo perché i tg fossero così noiosi, in quel periodo. È buffo: venticinque anni dopo, invece, non riesco a capire perché i telegiornali devono intrattenere.