Sono in debito da (troppo) tempo di una recensione con Luca Lorenzetti, che a suo tempo mi inviò il suo Fare un giornale online, pubblicato da Dino Audino Editore. E allora dico che il libro di Luca, direttore del quotidiano telematico GoMarche.it, ha alcuni meriti e un possibile limite.
Il limite è il taglio particolare che ha dato al testo: non affronta da osservatore, come la maggior parte dei libri sull’argomento, che cosa sono i giornali online e quali sono le caratteristiche dell’informazione su Internet, ma – capovolgendo la prospettiva – spiega da dove bisogna partire e quali passi è bene seguire per creare la propria testata sul Web (dai software necessari alla struttura della pagina, alla linea editoriale, all’accreditamento, alla ricerca di pubblicità). A maggior ragione perché traslascia completamente gli strumenti base della pubblicazione personale, ma punta a imprese strutturate di più ampio respiro, mi resta il dubbio su quale sia il lettore ideale di questo testo e sul target assai ristretto a cui si rivolge: un tuttofare del mondo dell’editoria, poco esperto di informazione online e alla ricerca di un’infarinatura di partenza per muovere i primi passi. Statisticamente raro.
Il limite, tuttavia, è anche la forza principale del libro, perche Lorenzetti racconta, tra le righe, la sua esperienza in prima persona. Ed è come autobiografia di un’avventura online, secondo me, che il testo dà il meglio di sé e che fa la differenza con un asettico manuale prescrittivo. In questo senso la passione dell’autore – talvolta anche il suo ingenuo ottimismo – si sente tutta e potrebbe ispirare molti altri imprenditori in erba a seguirlo su una strada non certo facile, viste le difficoltà a far rendere la baracca che lo stesso Lorenzetti non si nasconde di certo.
È un testo da tener presente, soprattutto da parte dei tanti studenti universitari che si avvicinano per lavori di ricerca o tesi a questi argomenti e che cercano una sintesi introduttiva ma completa (dallo specifico giornalistico alla tecnologia, al marketing) per comprendere la complessità di questo settore.
Luca Lorenzetti
Set 20, 2005 -
Caro Sergio,
innanzitutto grazie. Per l’attenzione che hai voluto riservare al libro, per l’acume della tua analisi, per i consigli che dai.
Sebbene come giornalista e operatore dell’editoria online abbia letto credo gran parte della letteratura sull’argomento (da Pratellesi a Carelli, da Staglianò alla Fabbiani solo per citarne alcuni) ho notato
che a prevalere era l’analisi distaccata, l’osservazione analitica, la volontà di definire un fenomeno, quello del giornalismo online, sempre (o quasi) da una prospettiva sociale, culturale, professionale.
Grande interesse nel vedere come “funziona la macchina” editoriale, come cambia la figura del giornalista, quali implicazioni comporta a livello sociale l’avvento di Internet come prima fonte di informazione.
Ho notato però, probabilmente perché gran parte di questi libri è stata scritta da giornalisti (pure molto autorevoli), che nel momento in cui ci si aspettava che venissero affrontati aspetti più prettamente tecnici e concreti, che pure fanno parte della quotidianità del lavoro, generalmente l’autore glissava, quasi sottintendendo che non fosse quella la sede adatta per considerarli.
Abbiamo quindi dei contributi qualificati e prestigiosi, che sono stati e sono tuttora un prezioso riferimento soprattutto per me, ma che non sono fatti a mio parere per essere tenuti sulla scrivania, ed essere sfogliati ogni qual volta ce ne sia la necessità. L’unico che fa eccezione credo sia il manuale di giornalismo online di Luca De Biase, tra l’altro consultabile gratuitamente qui: http://www.logos.it/corso_giornalismo/manuale/presentazione.htm
Posso dirti che la spinta maggiore che ho avuto nello scrivere questo manuale è stata la mia esperienza a capo dell’ANSO (www.anso.it), l’Associazione Nazionale Stampa Online. Ciò che la gente (colleghi giornalisti, editori, imprenditori) mi chiede più spesso non è tanto “Cosa ne pensi tu di questo?”, quanto piuttosto “Come si fa questo?”.
Ho pensato questo libro come ad una lunga serie di risposte alle “FAQ” che mi sono state poste, che sono, ad esempio, “qual è il CMS più adatto
e versatile per un portale d’informazione?”, “sono obbligato a registrare una testata telematica?”, “come posso muovermi per aumentare il fatturato pubblicitario?”.
In generale ho notato, e posso comprenderne perfettamente le ragioni, una grande necessità di concretezza, di praticità. Di capire quali
possano essere gli strumenti di base per partire e, soprattutto, se realizzare un giornale online sia una cosa che vale la pena fare oppure no.
Non pretendendo di dare una risposta definitiva e univoca a questi interrogativi, ho provato a dare al mio lettore una consapevolezza un po’ più ampia di quello che significa operare in questo settore, e ad abbattere qualche luogo comune (molti sono difficili da scalfire).
Con mio grande piacere, alcune persone mi hanno contattato dopo aver letto il libro chiedendo consigli, riferimenti, aiuti. E ho capito meglio chi è il mio “lettore di riferimento”: si tratta quasi sempre di giornalisti freelance stanchi della precarietà professionale alla quale questo mestiere spesso costringe, e che hanno voglia di misurarsi anche come (piccoli) imprenditori di se stessi. Stanchi di lavorare come sono per un progetto che non è il loro, e che quasi sempre non li gratifica economicamente, alcuni individuano nel giornale online una forma di riscatto professionale, di conquista di quell’autonomia altrimenti impraticabile con altri media.
Anche questo (forse lo condividerà anche l’amico Luca Conti) è nanopublishing, forse nel senso più proprio del termine.
E allora ti chiedo: non pensi che questo target sia più ampio di quanto si creda?
Grazie ancora della tua attenzione!
Luca Lorenzetti
Sergio Maistrello
Set 21, 2005 -
Mi hai quasi convinto, Luca. Mi resta solo il dubbio che il nanopublishing di cui parli tu, così organizzato e giornalistico (dove quest’attributo contiene in sé il germe della professionalità, ma anche l’eredità di vecchi modelli), sia tutto sommato poco “nano”. Mentre buone pratiche di informazione più leggere, più spontanee, più distribuite (più rispettose della natura della rete, mi viene da dire) sono già un’alternativa possibile.