Da qualche anno mi ritrovo prudentemente scettico del metodo scientifico a tutti i costi. Non per scarso rispetto della scienza, a cui pure dobbiamo tutto del modo in cui viviamo oggi sulla Terra, ma perché sempre più ho l’impressione che tra le pieghe della scienza si perda qualcosa di essenziale («l’essenziale è invisibile agli occhi, ripeté il Piccolo Principe»). Nell’infinitamente piccolo il mondo occidentale sta perdendo la dimensione d’insieme, la misura d’uomo. Non è la scienza, non è il metodo, d’accordo, è il modo in cui scienza e metodo sono utilizzati e spesso esasperati, fino a ritorcersi contro le intenzioni. Tant’è che dalle non poche discussioni che questo atteggiamento mi ha attirato, esco regolarmente con le ossa rotte (ben mi sta), ma senza riuscire a convincermi del contrario.
Questo per segnalare una provocazione interessante da Chris Anderson (direttore di Wired, autore di The Long Tail eccetera) su Edge:
The Petabyte Age is different because more is different. Kilobytes were stored on floppy disks. Megabytes were stored on hard disks. Terabytes were stored in disk arrays. Petabytes are stored in the cloud. As we moved along that progression, we went from the folder analogy to the file cabinet analogy to the library analogy to well, at petabytes we ran out of organizational analogies.
Che cosa può imparare la scienza da Google, si chiede Anderson? In sostanza la risposta è che oggi abbiamo una tale abbondanza di dati che gli strumenti matematici e statistici possono superare ogni precedente semplificazione di scala e offrirci nuovi modi per comprendere il mondo. La correlazione sostituisce la relazione di causa ed effetto e la scienza può progredire anche senza modelli coerenti, teorie unificate e meccanismi di spiegazione. Se capisco bene, è l’estensione del modello bottom-up alla scienza, in opposizione a quello top-down classico.
Concordo con Luca De Biase, a cui devo la segnalazione: più che una negazione del metodo scientifico è un’evoluzione dello stesso. Resta uno stimolo utile per ripensare al modo in cui abbiamo interpretato il mondo fino a oggi.
valentina
Lug 15, 2008 -
A volte (soprattutto quando si studiano fenomeni sociali, e non naturali) la rincorsa al metodo “scientifico” porta a una semplificazione della realtà che ne può modificare la natura.
Si pega il fenomeno allo strumento di osservazione e al modello di analisi, invece che fare il contrario.
Marcello Semboli
Lug 17, 2008 -
“Il metodo scientifico a tutti i costi”.
Interessante.
Io penso che si confonda la scienza con la tecnologia.
Come dice il matematico impertinente, la scienza ha il monopolio della verità. Sono daccordo, ma se troviamo delle cose che non vanno nella scienza, domandiamoci se invece non stiamo parlando di tecnologia.
Estremizzando: se ho delle remore a clonare esseri umani non sto mettendo un freno alla scienza, ma alla tecnologia, alla applicazione della scienza.
Allo stesso modo, non è la scienza che diventa bottom-up, ma è solo che io adesso ho dei computer grossi grossi, con tanti tanti dati e non riesco a padroneggiarli. Invento dei metodi per semplificare, ma semplifico nella mia testa, mica semplifico davvero la realtà.
Anche il Principio di Indeterminazione di Eisenberg suscita tante perplessità.
Anche lo studio dei gas ideali, non è coerente alla realtà.
Tuttavia queste semplificazioni sono utili, anzi necessarie.
Nel caso delle moli di dati, stiamo andando nella direzione giusta?
Petabyte Age e metodo scientifico | Giorgio Jannis
Mar 11, 2014 -
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