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Tag: new york

Giugno 24 2008

18.30, Postilla
Lascio l’ultima parola a un twit che trovo particolarmente azzeccato: “No need to wait for the next president to open things. Act locally – get our local and state governments to act now”.

18.20, In fin dei conti
Distesa sessione conclusiva con Scott Heiferman (Meetup), Craig Newmark (Craiglist), Brian Behlendorf (Mozilla Foundation) e Gina Cooper (Netroots Nation). Jeff Jarvis fa lo steward, portando il microfono per la sala. In sostanza: grandi opportunità, grandi speranze, grandi esperimenti, grande mobilitazione, grande ottimismo. Ma ancora molto da dimostrare nella pratica. Soprattutto quando gli entusiasmi della lunga campagna elettorale lasceranno spazio alla routine della politica. E, con questo, credo sia tutto da New York.

17.30, P come Partecipata
Andrew Rasiej e Micah Sifry raccolgono al volo l’invito di stamattina da parte di Douglas Rushkoff. D’ora in poi PDF starà per Partecipatory Democracy Forum.

17.20, Chi l’ha detto?
Breve spazio a disposizione di nuove applicazioni web al servizio della politica. Qualche aggiunta alle già innumerevoli funzioni di OpenCongress. Particolarmente interessante la banca dati di MetaVid, che raccoglie un patrimonio di dichiarazioni e discorsi in video dal 2006 in poi. Colpiscono in particolare le funzioni di ricerca molto avanzate e il servizio di montaggio video integrato, con cui ciascuno può prodursi un montaggio personale.

17.00, The Twitter Song
Intermezzo musicale, tra il serio e il faceto, prima della sessione plenaria conclusiva. Sul palco jazzosamente prestigioso del Lincoln Center, Mary Hodder e Josh Levy cantano If I Had a Twitter. Il video è già su YouTube. Su Twitter gira l’espressione jumped the shark. 🙂

16.20, Il segreto del successo
Nella sessione dedicata al viral-qualunquecosa, Jonah Perretti (BuzzFeed) ha definito il target di riferimento: il network-dei-lavoratori-annoiati. Ma serve del gran seed marketing. Ecco.

15.40, Second Nothing
Magari mi sarà sfuggito qualcosa, ma in due giorni di incontri non mi è ancora capitato di sentir nominare Second Life. Curioso.

15.05, Caricare prima che scaricare
Della conversazione tra addetti ai lavori sulle politiche per far aumentare la diffusione della banda larga (consideriamola una public utility, pensiamo alla Rete come alle strade, dice Cerf), mi resta soprattutto un passaggio che completa il ragionamento di Gilberto Gil stamattina, un collaboratore del quale al momento è sul palco. Bene la cultura peer to peer, e pure quella peeracy che pure suona tanto come piracy. Però insegnamo ai ragazzi a caricare prima che a scaricare.

14.45, Pensavo parlassimo di processi
Credevo fosse una prerogativa molto italiana drammatizzare oltre il ragionevole ogni situazione in una chiave politica competitiva, destra contro sinistra (e viceversa). Da due giorni, appena il contesto si riferisce in modo specifico agli affari correnti statunitensi, in sala e su Twitter parte il coro delle strumentalizzazioni e delle dietrologie all’italiana. Al momento, per esempio, l’Obama guy sul palco della sala principale è accusato di essere troppo Obama guy e buonanotte all’imparzialità del dibattito. L’impressione è che i repubblicani soffrano oltremodo qualunque frase in cui compaiono contemporaneamente le parole Obama e Internet.

14.20, Se fossi il presidente
Sei il nuovo presidente degli Stati Uniti, qual è il primo atto del tuo mandato? Vint Cerf: abolirei la Federal Communication Commission. Josh Silver: proporrei un bill of rights per l’Internet Protocol. Claudio Prado: darei al governo una settimana per comprendere il Dna della Rete.

14.05, Uh… a proposito
Qui, nella culla delle paranoie antiterrorismo, sono collegato da due giorni alla rete WiFi aperta della conferenza. La Rose Hall, che ospita la conferenza, ha un’altra rete, lentissima, che permette l’accesso agli ospiti. Nei dintorni dell’albergo c’è un benedetto router aperto che copre anche le nostre esigenze serali e mattutine (curiosamente, è l’unico aperto che Antonio e io abbiamo trovato finora in giro per Manhattan, ma tant’è). Da quando sono qui non ho lasciato le mie generalità a nessuno per connettermi e scrivere queste poche parole. Per dire, invece, in Italia.

14.00, Internet per tutti
A margine della conferenza è stato presentato Internet for all, una sorta di consorzio di operatori pubblici e privati di buona volontà che credono nella diffusione dell’accesso a banda larga alla Rete come volano di sviluppo e opportunità. Internet non più come bene di lusso, ma come lifeline per l’intera comunità americana. Di fatto un gruppo di pressione specializzato che premerà sul Congresso e sulla Presidenza per dare vita ai suoi principi.

12.40, Hyperpolitics, hyperpeople
La sessione conclusiva della mattina è di Mark Pesce, una lunga carrellata di suggestioni che partono dalle origini della civiltà, passano per Gutenberg e toccano la crescita esplosiva della comunicazione e della conoscenza di questi anni. E il cui punto di arrivo sostanzialmente dice che la condivisione è una minaccia per chi detiene il potere. E che la democrazia è superata da questa forma esasperata di iperconnessione globale.

12.20, Peeracy
Sessione a più voci sull’uso della tecnologia nella soluzione dei problemi globali. Robin Chase (GoLoco e ZipCar) riflette su scarsità e abbondanza, laddove spesso l’una e l’altra sono soltanto un punto di vista limitato sulla realtà e sulle opportunità che ci si presentano. Gilberto Gil, ministro brasiliano della cultura, saluta con benevolenza la pacifica rivoluzione della cultura peer to peer, spendendo addirittura un neologismo: peeracy. Van Jones (Greenforall) richiama l’urgenza di una economia a basso impatto ambientale.

11.30, Civic Technology
Jonathan Zittrain (The Future of the Internet. And How to Stop It) gioca in modo molto efficace con la tecnologia buona e la tecnologia cattiva. Ovvero la tecnologia che serve le persone ed è controllata dalle persone e la tecnologia che si chiude, sfugge al controllo e serve interessi spesso deprecabili o incomprensibili.

10.30, The delete botton on democracy
Seguono tre interventi minori, tutti basati sulla critica più o meno costruttiva all’amministrazione pubblica americana. Il governo dovrebbe investire di più sulla banda larga (Jonathan Adelstein, Fcc). Il governo non spinge abbastanza sulla democrazia e dovrebbe adottare strumenti per ascoltare di più e meglio i cittadini (Steven Clift, e-democracy.org). Carrellata sui servizi utili che il governo potrebbe incentivare e promuovere sul web – dove apparently si scopre che l’e-government negli Stati Uniti non è poi così avanti né pervasivo quanto penseremmo in Italia (Sheila Campbell, USA.gov).

10.00, Lessig
Gran presentazione di Lawrence Lessig. Lo scopo era promuovere Change Congress, iniziativa sua e di Joe Trippi. Dice, in estrema sintesi, Lessig: l’indipendenza dichiarata dai padri fondatori è diventata dipendenza. Dipendenza dai soldi, dal potere, dalla festosa sceneggiata che ogni quattro anni celebra la democrazia. Questa dipendenza sta facendo grandi danni, ma il peggiore è che ha minato la fiducia. La soluzione è rompere la dipendenza del potere dal denaro. Non è il problema peggiore, ma è il primo problema da affrontare.

9.30, Decide la millennium generation
Interessante lettura di Morley Winograd, basata sul suo libro Millennial Makeover, sulla politica americana in termini di spinte generazionali. La quarta, quella che deciderà le sorti politiche del paese quest’anno, è la millennium generation, la più numerosa e multietnica della storia americana.

9.00, Il nuovo rinascimento
L’apertura del secondo giorno qui al Personal Democracy Forum di New York è dedicata al nuovo rinascimento. Douglas Rushkoff, autore fra l’altro di Open Source Democracy, si sbraccia per dire che personal democracy è un ossimoro. La democrazia e l’individuo sono inscindibili. Ma se il primo rinascimento aveva a che fare con la scoperta dell’individuo, il nuovo rinascimento riguarderà la comunità, sarà un rinascimento di gruppo. Finora abbiamo mancato le opportunità offerte dai media: la scrittura, il broadcast. Le persone non hanno imparato a leggere, hanno imparato ad ascoltare. Potevamo avere una nazione di persone che leggono, abbiamo una nazione di eroi. Così oggi abbiamo una nuova opportunità; ma non ha più a che fare con la scrittura, quella è storia passata. L’opportunità di oggi è partecipare attivamente alla riprogrammazione della cultura. La democrazia è un evento collettivo.

[Gli appunti di ieri, qui]
Giugno 23 2008
[Gli appunti del secondo giorno sono qui]

18.20, Liberi tutti
Giornata ricca e stimolante. Finisce con le note a tutto volume di McCainiac. Ora cocktail di fine giornata. A domani.

18.15, Cara, sono a casa
Via vai in casa Edwards. John è tornato a casa e si siede a sua volta sul divano a fiori. Ilarità generale. Ma conversazione calda e piacevole. Di cui si può leggere più o meno tutto su Twitter, in questo momento.

17.15, Merenda a casa di Elisabeth
Doveva essere qui in teatro, ma pare che dal North Carolina non sia partito un aereo nelle ultime 24 ore. Così il teatro va a casa sua. Lunga panoramica sul soggiorno di casa Edwards, poi entrata trionfale della padrona di casa, che ora sta conversando con Andrew Rasiej.

16.45, Ognuno al suo posto
La discussione si è definitivamente spostata dai processi politici ai processi dell’informazione legati alla politica (e non solo alla politica). Nel teatro, dove tra gli altri c’è Jay Rosen, e sugli spazi digitali, dove tiene banco Jason Calacanis, è in corso una discussione sugli spazi del giornalismo e quelli del crowdsourcing. Blog e giornalisti devono negoziare il proprio rapporto? Devono farsi ciascuno gli affari propri? Pensate tutte le possibili posizioni intermedie e avrete un’idea di quel che si sta dicendo.

15.10, Non è tutto network quello che è social
Dice Shirky che MyBarackObama sembra un social network, ma in effetti non lo è: la confezione è quella, ma sviluppa pochissima conversazione.

15.00, Vargas dixit
In compenso mi è piaciuto Jose Vargas, giovane giornalista del Washington Post. Quando la conversazione ha preso una piega molto squilibrata sugli strumenti (messenger? Facebook? MySpace?) ha tagliato corto: “it’s just people“. Secondo Vargas “everybody is a journalist”, e comunque poco importa, perché “people decide what is relevant”.

14.50, Giornaché?
La sensazione è che non sia affatto chiaro quale impatto avrà la tecnologia sulla politica e l’informazione, tuttavia non sembrano esserci molti dubbi sulla crisi dei giornali (più che dei giornalisti). E pensare che qui negli Stati Uniti non hanno nemmeno l’Ordine, tsé.

14.00, Odio scegliere
Il programma del pomeriggio impone la scelta tra sei sale in cui si terranno sessioni parallele. Ne seguirei almeno tre. Alla fine vince la clickocracy del teatro principale, con Jeff Jarvis.

12.30, Campagne impettite
La sessione che sulla carta prometteva più spunti, quella che vede sul palco sei protagonisti delle campagne web dei candidati alle primarie, è al momento la meno efficace. Tutti estremamente formali e sottotono, attenti a una cortesia e a un equilibrio che non permettono di sbilanciarsi troppo. Certo grasso che cola, se pensiamo all’Italia: questi parlano di social network con la scioltezza con cui da noi si parlerebbe di mailing list.

11.40, Here Comes Clay Shirky
Cita decine di iniziative per raccontare il web come un luogo azione collettiva. Il mezzo di comunicazione diventa sempre più un luogo di azione. Ovunque trovi persone che iniziano a fare qualcosa o costruiscono qualcosa. L’open source indica la strada: la chiave non è tanto nello strumento, ma nella licenza, nelle istruzioni che permettono a tante persone di attivarsi in modo veloce, distribuito, organizzato.

11.25, Democrazia imbottigliata
Comincia Chuck Defeo: i nuovi media sono vino nuovo in una botte nuova oppure vino vecchio con una nuova confezione? Di certo una nuova bottiglia, ma è giusto che il vino non sia del tutto nuovo, gli risponde Arianna Huffington.

11.15, Arianna Huffington
Bell’intervento, efficace, dritto al punto. Affidabilità, trasparenza, ricerca della verità. Non possiamo più raccontare il mondo mettendo semplicemente le due facce di una medaglia una accanto all’altra, col giornalista in mezzo a dirigere il traffico. Bisogna ricercare la verità, ci sono informazioni vere e informazioni non vere, quelle non vere non devono più passare. Il racconto della verità oggi non è più affidabile. I giornalisti hanno pieno accesso al potere, ma la storia gli passa sotto il naso (cita pesantemente Bob Woodward). La peggiore tradizione del giornalismo è quella che riporta dichiarazioni e azioni altrui in modo acritico. I blog potranno migliorare le cose, quando avranno pieno accesso diretto al potere – per esempio, alla Casa Bianca o al Congresso. Non serve buttare via tutto: abbiamo tutto l’interesse a recuperare il meglio degli old media.

10.55, Frasi
Non ci serve mobilitazione, ci serve organizzazione (Zephyr Teachout)
Il sistema che stiamo creando è di gran lunga più aperto del sistema dei media (Micah Sifry)
La sfida è usare il nuovo sistema per costruire una nuova agenda, un crowdsourced wikified new contract for America (Patrick Ruffini)

10.50, HRC
Un messaggio da Hillary Rodham Clinton sullo schermo. Un’imitazione, ovviamente. Gli americani in sala se la ridono. Dice che farà uno reality show su YouTube in cui lei sarà la presidentessa degli Stati Uniti, live 24/7.

10:45, Mappe
Finora abbiamo visto molta cartografia della blogosfera. Le più interessanti da qui. Un bel modellino sulla propagazione dei messaggi all’interno della blogosfera americana lo ha mostrato Matthew Hurst di Microsoft. Tutti brevi sguardi, ci sarebbe molto da approfondire. L’impressione in generale è che lo studio dei processi sia cresciuto molto, ma che si limiti ancora all’osservazione. Come dire: conosciamo meglio l’acquario e i movimenti dei pesci, ma non ragioniamo ancora come pesci. Il che è strettamente collegato con le benedette metriche della Rete.


Vedi anche il live blogging di Antonio Sofi
Gli orari indicati sono, of course, GMT-5.

Marzo 10 2008

Il racconto di Antonella lo scorso anno, la presenza dell’organizzatore Joshua Levy a State of the Net, l’anno gravido di implicazioni e soprattutto l’ampia sezione di programma che privilegia la partecipazione dal basso e le iniziative civiche mi hanno convinto: a giugno vado al Personal Democracy Forum di New York. Antonella, che quest’anno naturalmente torna, è già lì che balla. Stiamo lavorando ai fianchi un paio di temporeggianti o indecisi. Chi si vuol unire al gruppo, naturalmente, è il benvenuto.