Capisco sempre meno le polemiche sul ritardo dell’informazione mainstream in caso di notizie importanti e impreviste. Prendiamone atto e facciamocene una ragione: in piena notte, in orari periferici, in situazioni confuse, i giornalisti arriveranno sempre più tardi. Ed è molto meglio così. Preferisco un’informazione che si prenda il tempo di verificare i dettagli e che quando si esprime diffonde certezze, rispetto a dirette fiume improvvisate, che prendono notizie a casaccio da agenzie e flussi di rete, mancano alla loro missione essenziale basata sull’accuratezza e sulla sintesi. I social network ci hanno abituato a una velocità che prima semplicemente non esisteva. Ricordo bene terremoti come quello di stanotte, quando ero ragazzino: le edizioni straordinarie dei tg non si facevano con la facilità di oggi, non esistevano i canali all news (italiani), c’era solo il benemerito Televideo, embrione di flusso digitale nell’informazione giornalistica tradizionale, davanti al quale aspettavo non meno di un’ora l’aggiornamento chiarificatore. Ed era un’altra ansia, peraltro nemmeno condivisa come oggi.

Dovremmo considerare lo straordinario tempo reale condiviso attraverso Twitter e Facebook qualcosa in più, un arricchimento per tutti, non una competizione con le testate giornalistiche. “Se non ci fosse stato Twitter…”: invece c’è, ed è per questo che percepiamo la differenza. Stiamo parlando di due forme di informazione diverse, che hanno tempi e presupposti differenti. Non basta un tweet e una foto di un crollo per avere la notizia, giornalisticamente parlando: o meglio è un’informazione rilevante per me se il tweet mi arriva da @gluca, di cui ho fiducia e che ha l’avventura di vivere sull’epicentro del sisma di questa notte, ma dal Tg1, da Rainews o da Repubblica.it voglio qualcosa di diverso e di più che una collezione di tweet aggregati dalla rete. Non è semplice e lo è ancora meno oggi, che di fronte all’aumento di complessità del mestiere gli organici, i turni e il non necessario vengono selvaggiamente potati per contenere i costi. A volte penso a che cosa avrebbe potuto essere l’informazione giornalistica se mai avesse unito gli strumenti d’oggi alle risorse di ieri.

Non capisco nemmeno le polemiche sui tweet acquisiti più o meno sportivamente dalle testate: io non riesco proprio a concepirli come contenuti originali che ciascuno di noi compone in esclusiva per il proprio ininfluente canale Twitter (col sottointeso che, se utilizzati da canali professionali dovrebbero essere adeguatamente remunerati). Sono testimonianze che mettiamo a disposizione di un ecosistema e che, in contesti straordinari e auspicabilmente rari, diventano parte di una notizia e vengono amplificati dai media mainstream. La notizia non è soltanto copia-incolla, è un processo di validazione e costruzione complessa di senso che prescinde dalla sigola unità di informazione. Ieri si intervistavano le persone con un microfono, oggi esistono molti altri modi per mettere a sistema i loro punti di vista, in modo più veloce ed efficace.

Per inciso, di quello che io penso debba essere un approccio compiutamente giornalistico nell’epoca delle reti sociali ho riscontrato un solo caso all’altezza, stanotte. Ed è stato quello de Il Post, che ha saputo unire sangue freddo velocità di reazione, ricchezza di fonti, prudenza nella selezione e capacità di sintesi.