Trovo FriendFeed interessante, divertente, utile, a tratti perfino geniale. Appena ti ci abitui dà una bella sensazione di controllo sui contenuti che fluiscono in Rete. È potenzialmente un bel passo avanti nel campo delle applicazioni sociali su Internet. Eppure ci sono due o tre questioni di fondo che ancora non riesco a digerire e che mi tengono un po’ distante dall’entusiasmo generale. Provo ad abbozzare sensazioni, senza averci ancora ragionato su più di tanto.

Tutti in piazza. FriendFeed non è l’ennesimo coso sociale iperspecializzato che frammenta identità o contenuti di un certo autore e poi li rimette a disposizione alle altre applicazioni della Rete (tramite feed, widget, plug-in o quant’altro). Come Flickr, per dire. Come del.icio.us. Come lo stesso Twitter. FriendFeed crea una zona altra dove avvengono cose (repliche di cose, a essere precisi). Per seguire quelle cose devi andare lì. Devi andare in piazza, devi scendere fino in centro. Un centro, di nuovo, dentro un mondo di periferie. Sì, puoi integrare il livefeed di FriendFeed nel blog, come gli altri servizi citati, ma è solo una frazione del servizio nel suo complesso. Che vive invece della presenza frequente e collettiva degli iscritti all’interno di uno stesso spazio sociale, e del rimescolamento in quello spazio di canali e protocolli. Twitter è un servizio, FriendFeed è un ambiente. I servizi li usi e li adegui alle tue esigenze, gli ambienti li devi frequentare, nella misura in cui hai interesse o motivo di farlo.

L’altro aggregatore. FriendFeed riscrive la storia degli aggregatori di contenuti vincolando la fruizione dei feed alla rete sociale dell’utente. Un modello ormai classico, tuttavia non era ancora stato fatto (a questo livello) sui feed reader. L’intuizione si rivela ottima per quanto riguarda la sfera di interessi del proprio gruppo sociale allargato, anche su scala piuttosto ampia. La digestione collettiva aiuta in modo efficace a isolare le conversazioni del giorno e i contenuti che hanno riscosso maggiore interesse. Non credo possa però diventare, come qualcuno ipotizzava nelle settimane scorse (e lo linkerei se lo ritrovassi), un sostituto del classico aggregatore, quanto meno per chi come me è abituato a macinare con questo aggeggio qualche centinaio di fonti eterogenee e spesso lontane da ogni rapporto sociale rispetto all’autore dei contenuti. Dunque per me, alla prova dei fatti, FriendFeed rappresenta spesso una replica non esaustiva di quanto già seguo dentro Google Reader (che di conseguenza non sarei pronto ad abbandonare). E tuttavia non me la sento di ignorare FriendFeed perché su quegli stessi contenuti molti miei amici e colleghi riversano un valore aggiunto e diffuso di commenti e segnalazioni. Tra ridondanza e valore aggiunto, io – pur apprezzando sempre più il secondo – per ora avverto soprattutto il peso della prima.

Ancora sulla ridondanza. FriendFeed sta spostando (sostituendo? replicando? accentrando? differenziando?) lo spazio dei commenti. Tutto ciò che viene condiviso dentro FriendFeed può essere segnalato, apprezzato, commentato, a prescindere dalla fonte originale. Un post può avere i suoi bei commenti sul blog di origine, ma se poi viene aggregato dentro FriendFeed, lì ne possono arrivare di nuovi, indipendenti e privi di relazione con i precedenti. Se eravamo abituati a rispondere su Twitter alle provocazioni lanciate in quel servizio, ora spesso capita che il dialogo continui anche lontano da dove l’iniziatore della conversazione aveva cominciato a parlare. In piazza, appunto. Chi non va in piazza, spesso nemmeno se ne accorge, oppure magari se ne accorge quando già se ne sono andati tutti. Il vantaggio di questo sistema è che l’aggregarsi spontaneo dell’interesse altrui fa emergere, nella migliore tradizione social, i contenuti più interessanti. Bello, e funziona pure meglio di altri luoghi, alla prova dei fatti. Il costo, però, è replicare azioni che già si compiono a prescindere laddove i contenuti nascono e disperdere conversazioni.

Un’applicazione esosa di attenzione. Insomma, pur trovandola divertente e spesso utile, mi pare che FriendFeed sia un’applicazione straordinariamente esosa di attenzione, nonché ridondante nel suo modo di favorire l’interazione tra gli iscritti. Non crea nuovi contenuti, salvo sporadiche condivisioni ad hoc, ma raddoppia (quando non triplica o quadruplica, perché più persone rilanciano uno stesso frammento attraverso differenti canali che finiscono poi nello stesso calderone) la vita di tutto ciò che viene macinato dai suoi ingranaggi. Forse è solo una fase di evoluzione, il primo passo verso una ricombinazione delle applicazioni e dei servizi che formano il flusso delle espressioni degli abitanti della Rete. Ma per ora a me non sembra ancora del tutto funzionale, a meno che non lo si abbracci in toto, sostituendo con questo tutti i servizi di aggregazione, microblogging e condivisione che è in grado di sostituire. Io, per ora, questo passo non sono pronto a farlo.

Facebook, del resto. Facebook è un’altra storia. Nasce per essere un recinto chiuso e fa quello che deve. Questo me lo rende poco simpatico a prescindere, ma appunto è un’altra storia. Però per certi veri identifico analogie tra la mia difficoltà di approccio a Facebook e lo sguardo un po’ storto a FriendFeed. Anche nel caso di Facebook, soprattutto nella nuova impostazione appena inaugurata, mi fanno un po’ specie la duplicazione di servizi per la condivisione di status alla Twitter, la dispersione dei commenti, il proliferare di immagini. Le fotografie, soprattutto: già facevo fatica a stare dietro gli aggiornamenti dei miei contatti su Flickr, che io ancora considero quanto di meglio nella condivisione di scatti. Ora quegli stessi contatti differenziano la pubblicazione di immagini tra Flickr e Facebook, moltiplicando i fronti e rendendo più arduo tenere sotto controllo la situazione. Oppure duplicano completamente i canali, raddoppiando anche il rumore da filtrare.

Allora delle due l’una: o sta esplodendo la scala delle nostre reti sociali, nella via verso qualcos’altro, verso nuovi modi di gestire l’aumentata complessità. Probabile, possibile, perfino auspicabile per certi versi. Oppure stiamo perdendo per strada qualche pezzo, mentre frammentiamo e duplichiamo all’infinito la rappresentazione delle nostre identità in Rete e i nostri contenuti. Tertium datur: sono io che ho bisogno di vacanze. 🙂