Arrivo stremato alla fine di questa campagna elettorale. Non certo perché mi sia impegnato in prima persona: ho fatto soltanto il cittadino responsabile in cerca di rappresentanza. Ho ascoltato, ascoltato, ascoltato e ascoltato. Ho letto. Ho perfino risposto alle telefonate di chi nel 2006 ritiene ancora decoroso sollecitare i propri conoscenti per racimolare qualche voto in più. Vorrei essere onesto e al tempo stesso costruttivo, ma francamente ho ancora molti dubbi su dove metterò le mie crocette (tranne forse per le amministrative comunali, perché qui in Friuli-Venezia Giulia abbiamo la fortuna di chiudere tutti i conti in una volta sola). A poche ore dal voto ho poche certezze, in compenso sono molto avvilito.

Trovo curioso che l’occasione in cui si dovrebbero esprimere i massimi ideali si sia trasformato in uno dei momenti più bassi della nostra storia democratica. Non è emerso il meglio del manipolo di persone che ha scelto di darsi da fare; gli ultimi sei mesi sono stati giocati invece sui nostri peggiori istinti. Stiamo regredendo come popolo, abbiamo ceduto a lungo a chi ci mostrava la via più facile (e certo Silvio Berlusconi è una figura chiave in questo processo, benché non sia il solo responsabile). Siamo assuefatti perché abbiamo assunto la remissività a piccole dosi giorno dopo giorno per anni. Non dal 2001 o né dal 1994, ma molto prima. Ogni giorno accettiamo che il mondo vada impercettibilmente peggio con la complicità delle nostre scelte, osiamo sempre meno e ci accontentiamo sempre di più: sul momento non te ne rendi conto, ma se ti volti indietro ti accorgi che a forza di sfiorare i paletti li abbiamo spostati ben oltre ciò che solo un decennio fa avremmo ritenuto tollerabile. Il risultato è che la popolazione italiana è immune all’indignazione, ha fatto gli anticorpi all’orgoglio.

Io per primo, voglio dire. Mi ha umiliato, e per questo gliene sono grato, Claudio Magris ieri sul Corriere della Sera, a proposito della «loquela sboccata» di Berlusconi. Il vero insulto, ricorda Magris, non è la volgarità specifica (che in questo siamo un po’ tutti presidenti del Consiglio), ma è l’offesa a chi vota senza pensare al proprio interesse. «La maturità politica — di un individuo, di una società, di un popolo — consistono nella capacità di collegare il proprio interesse con quello generale, di capire la loro reciproca indissolubilità, e si misurano col metro di questa capacità.» Diamine, è questo il punto! Ma ero talmente distratto dalle ironie sulle parole e dai botta e risposta in televisione che non ci avevo nemmeno fatto caso.

All’inizio della campagna elettorale mi ero ripromesso di dare il voto a chi avesse dato l’idea di soddisfare alcune istanze secondo me particolarmente urgenti in questo momento: ambiente, ricerca, infrastrutture digitali, politica estera e lavoro. La campagna elettorale ha toccato questi temi, quasi mai andando oltre la generica dichiarazione d’intenti (di cui già si parlava a proposito del programma dell’Unione). Alla fine voterò ancora una volta per semplice reazione a una visione del mondo che non posso condividere: il vantaggio personale, la forzatura delle regole, l’illusione di potersi chiudere nelle proprie città, nelle proprie case, nelle proprie aziende sono una reazione incomprensibile e pericolosa alla complessità del mondo che ci circonda. Ovunque cadrà il mio voto all’interno dell’Unione, sarà comunque un ripiego poco gioioso, da cui mi aspetto poca cosa. Sarei contento anche solo se riuscissi ad arrivare alla fine della legislatura senza dovermi mai vergognare delle persone a cui ho affidato il mio sostegno.

Comunque vada, mi aspetto sinceramente che gli abissi della dignità toccati in queste settimane diventino l’occasione per un sussulto, l’inizio di una ripresa diffusa non tanto per merito di chi avrà più seggi al Parlamento ma perché sempre più persone sentiranno di doversi impegnare in prima persona affrontando la realtà e tutte le sfide complicate che, ci piaccia o meno, ci aspettano nei prossimi decenni. All’anima della tasserella sulla prima casa o sull’immondizia: i nostri figli avranno orrore di noi, se non sapremo guardare un po’ oltre.

Il 2011 è dopodomani, è dietro l’angolo. È già ora di darsi da fare.