Top

Category: Vivo

Agosto 6 2024

Ehi tu, figlio maggiorenne.

Figlio ormai da guardare con gli occhi all’insù. Per cui dissimuliamo orgoglio, mentre festeggi lavorando lontano da casa la conquista della capacità di agire e del dovere di risponderne in prima persona.

Ehi tu, che vivi con le orecchie costantemente immerse nella musica di un’epoca ruggente che forse non è mai esistita, ma in cui ti piacerebbe vivere. Che ti credevamo umanista e invece lungo la strada ti sei rivelato scienziato, e forse sei entrambi oppure nessuno dei due, e magari non ti basterà una vita per capirlo. Tu, che sei testa fina e mani d’oro, e le usi per prenderti cura delle persone care. Tu, che riempi gli ambienti in cui vivi di creazioni bi- e tridimensionali e in ogni casa di famiglia troviamo sedimentazioni di materiali, disegni e costruzioni che testimoniano il tuo ondeggiare negli anni tra fantasia e concretezza.

Tu, che sei Tagliamento: rivolo, per lunghi tratti in secca, per poi prorompere impetuoso a torrente minacciando gli argini se innaffiato a dovere. E Monte Cavallo: l’altura dietro casa che spesso vorresti conquistare in bicicletta, ma poi vabbè anche per oggi no. Tu, che vivi una passione per volta, ma in modo totalizzante, cambiando di tanto in tanto il corredo della tua vita come quinte in teatro. Che nell’inseguire i tuoi interessi coniughi in modo audace, eppure ai tuoi occhi coerente, costruzione e distruzione, artigianato e armamenti, vigore e pantofole, ragionamento e disimpegno.

Ehi tu, che appari impassibile e inscalfibile, immune all’esigenza di raccontarsi, riluttante esploratore delle profondità delle emozioni. Tu, che dissimuli gioia e sofferenza dentro allo stesso sorriso e preferisci lasciar pensare che sia acqua quieta quella che magari mulinella sul fondo. Tu, che elargisci a tutti la possibilità di pensare di piacerti e a nessuno la certezza che sia vero. Tu, che cedi spesso agli altri la scrittura del tuo destino e paghi caro il prezzo dei tuoi slanci ideali, senza che questo scalfisca le tue convinzioni. Tu, che ottenere meno di quel che meriti ti pare una circostanza noiosa, ma in fondo trascurabile, come se contemplassi un spazio molto più vasto e scandissi un tempo più generoso e placido.

Tu, che sei cresciuto senza tribù né feudo e ti ritrovi ora in mano la responsabilità di scoprire il tuo ovest da conquistare e i pellegrini, i cercatori d’oro e gli avventurieri che ti accompagneranno nell’impresa. Tu, che frequenti gli stessi amici con cui hai stretto patto di fratellanza all’asilo e serve la testardaggine del destino o la sfacciataggine altrui per trascinarti dentro storie nuove e nuovi mondi. Tu, che hai un istinto fuori dall’ordinario per i più piccoli, e sai insegnare con naturalezza e rispetto, perché ci metti la cura e la sincerità che spesso non hai incontrato nel tuo percorso. Tu, che a tre anni ha sospeso la manina nell’aria per difendere la tua sorellina appena nata dall’invadenza del sole, e in fondo da allora non l’hai mai tolta.

Ehi tu figlio diciottenne, figlio che oggi consegniamo a un’età quasi adulta, sedendoci appena un po’ più in là per goderci meglio lo spettacolo. Ehi, proprio tu: tanti auguri dal tuo papà.

Marzo 24 2024

Ehi tu. Guarda che ti ho visto, piccoletta. Che ti aggiri per casa rubando ogni residuo di infanzia con la determinazione bonaria di chi pensa fosse anche ora, e ricevi lettere dal distretto sanitario per ricordarti che mica hai più diritto alla pediatra. Ma come ti permetti, dico io?

Lo riconosci anche tu il confine intorno a cui saltelli, ora di qua ora di là, un po’ piccola e un po’ grande, un po’ ingenua e un po’ scaltra, un po’ incerta e un po’ indipendente, un po’ spensierata e un po’ persa nei primi pensieri lunghi? Ti capita ancora di irrigidirti per la frustrazione, come quand’eri bambina, ma sempre più spesso te ne accorgi da sola e finisce che ti scappa da ridere anche al colmo della disperazione. E io sorrido con te, perché penso che forse sarà proprio l’ironia, che pure non ami perché la riconosci arma, a salvarti dai giorni bui.

Conosciamo ogni tuo muscolo, osso, legamento, perché la lotteria quotidiana dei crampi, dei risentimenti e delle contusioni è un rito che precede perfino il saluto, essendosi ormai evidentemente e irrimediabilmente compromessa la perfezione del giorno. E mentre te ne facciamo parodia, mi chiedo se in fondo questa esasperata propensione alla rilevazione e all’analisi magari un giorno non ti sarà alleata nel leggere le pieghe del mondo che attraverserai.

Intanto badi ai tuoi interessi con la sagacia del venditore di almanacchi, e l’almanacco alla fine a noi lo rifili quasi sempre. Non concepisci l’ingiustizia, a meno che non avvantaggi un pochettino anche te. E hai capito che per ricevere si deve prima dare, così sei sempre molto attenta ai desideri degli altri, coltivando la speranza che poi anche gli altri facciano altrettanto. E siccome l’esercizio del dono rende migliori, stai diventando una persona attenta e generosa, capace di celebrare i legami con spontaneità e creatività. Per cui è sempre più bello provare orgoglio.

Chiaramente ti piace ancora molto il gelato al cioccolato, intorno al quale ruotano una fitta rete di complicità familiari, itinerari indotti, uscite strategiche, amicizie solidali, mentre hai sempre più curiosità per il modo in cui si preparano le cose che mangi, a cui ora mancherebbe soltanto il coraggio di scoprire gusti nuovi (anche per dare un po’ di tregua alla noia – o all’ansia – di chi ti prepara i pasti).

Ehi tu, ladruncola di infanzia che insegui i pezzettini della tua identità in giro per luoghi e persone della tua quotidianità e poi ti rifugi nella tua camera per provare a metterli insieme come un puzzle rompicapo (o, più probabilmente, per vedere una serie da adolescenti sul telefonino): buon compleanno dal tuo papà.

Settembre 30 2022

È stato un privilegio della vita lavorare al Centro di Riferimento Oncologico di Aviano. Raramente un luogo di lavoro ha saputo mescolare in modo così intenso la sfera professionale e quello degli ideali di comunità che inseguo nel mondo.

In tre anni ho ricevuto molto più di quanto io possa aver dato, dalle persone e nelle situazioni più imprevedibili. Questo è un luogo di dettagli, di sfumature, di interstizi, di epifanie. Ti si rivelano mentre sei in altro affaccendato e ti si appiccicano addosso, a volte svoltandoti la giornata, a volte imprimendo un segno nel tuo percorso di vita.

Qui resta un legame, non solo professionale, che spero di coltivare ancora. Da cittadino, molto prima che da professionista, provo gratitudine per le persone che hanno reso il CRO un luogo di cui andare fieri, e soprattutto per quanti oggi si adoperano per custodirne lo spirito.

Arrivederci. E grazie.

Marzo 25 2022

Ehi tu, dodicenne che canti e balli la tua canzone inventata nella terra di mezzo tra infanzia e adolescenza. Che ora brontoli sul divano perché i compleanni poi finiscono e ogni minuto deve essere memorabile più del precedente.

Tu che nell’ultimo anno hai imparato a ridere di gusto di una risata aperta, sincera e autoironica, che riempie le stanze e fa innamorare. Che ogni giorno te ne freghi per qualche minuto in più di quello che gli altri pensano di te e inizi a decidere da sola le cose che ti riguardano, dosando con sapienza cinismo e giudizio.

Tu che mangeresti (e mangi) gelato al cioccolato tutti giorni, a qualunque ora del giorno, e la sera provi a convincerci che non conta se l’hai già mangiato quel giorno, perché a ben vedere non è più giorno ma sera. Tu che passi dalla disperazione furibonda alla gioia travolgente in pochi minuti, cambiando registro con la facilità con cui cambi i mondi e le skin sulla playstation.

Tu che spacchi a scuola, spacchi nello sport, spacchi nella musica, spacchi nei videogiochi, ma fai tutto col freno a mano tirato (tranne i videogiochi, s’intende), dando l’impressione di risparmiare energie, andarci piano con le vocazioni e mantenere tempi e spazi per scorprirsi e farsi scoprire poco a poco. E che in compenso hai la straordinaria fortuna di incrociare il maestro giusto nel tempo giusto, quello in grado di accoglierti e rispettarti per come sei, intuendo quello che sarai o che potresti essere.

Tu che quest’anno hai ricostruito il tuo nido in una camera tutta nuova, per conto tuo. Che tuo fratello lo cerchi ancora, ma con una complicità più matura. Che hai cambiato quartiere, scuola e compagni non senza timori, per scoprire invece una naturalezza nuova, che ti ha rinforzato e reso più libera. Che non ti ha fatto perdere i vecchi amici e te ne ha fatti incontrare di nuovi. E che ti fa leggere le storie che incontri, i luoghi che attraversi e gli inevitabili pericoli in cui inciampi con una testa sulle spalle che mi rassicura molto per gli anni a venire.

Tu, che sei nata con le orecchie a tortellino nel salotto di casa di una casa che adesso casa non è più, e uscendo da lì ci è sembrato di perdere per sempre un po’ della magia di quella sera. E invece eri tu quella magia, e l’abbiamo ritrovata intatta, grati, mentre ti guardiamo avviarti in cerca della tua strada nel mondo.

Ehi tu, proprio tu, tanti auguri dal tuo papà.

Luglio 13 2021

Sono convinto che una delle chiavi di lettura di quest’epoca sia la responsabilità: intorno alle responsabilità che decidiamo di prendere, o più spesso di scansare, prende forma la comunità a cui apparteniamo.

Con quest’animo, sebbene non proprio a cuor leggero, lunedì sera ho accettato di diventare presidente del G.S. Hockey Pordenone, storica associazione sportiva che mi ha conosciuto ragazzino negli anni ’80 (nella rarissima foto d’antan, il primo a sinistra) e mi ha ritrovato qualche anno fa genitore e poi dirigente nel settore giovanile.

Per spirito di servizio, e con lo spirito di servizio che ho conosciuto negli occhi di Antonio Santangelo, di Ermenegildo Marrone, di Antonio Aloisi e di tante altre brave persone di buona volontà che per nostra fortuna ancora attraversano il PalaMarrone, mi metto a disposizione di un progetto non soltanto sportivo per i bambini e i ragazzi di Pordenone che si avvicinano all’hockey su pista, evidentemente lo sport più appassionante di tutti i tempi.

Al presidente Giovanni Silvani, che ieri abbiamo all’unanimità eletto presidente onorario, va la gratitudine mia e di tutto il movimento hockeistico pordenonese per aver contribuito a piantare un seme cinquantasette anni fa e aver accudito quel germoglio attraverso trionfi e tempeste fino a farne uno degli alberi più alti e prestigiosi nel bosco sportivo della nostra città.
Io e l’affiatato gruppo di dirigenti che con me oggi riceve il testimone di una gestione storica ne portiamo la consapevolezza e l’orgoglio.

§

Il comunicato dell’ASD GS Hockey Pordenone

Giugno 10 2021

Allora ci salutiamo qui, piccola grande scuola Gozzi.

La mia famiglia e io siamo entrati una mattina di dicembre del 2011 e ne siamo diventati parte prima ancora di averlo deciso. Ricordo l’accoglienza, il calore, la percezione di uno stato di grazia che fondeva la passione e l’impegno di tutti in qualcosa di più grande e coinvolgente.

Per i nostri figli è stata un’esperienza felice. Due cicli molto diversi, ugualmente fondamentali. Tre cose almeno hanno avuto in comune: la cura, il senso di possibilità e l’idea che i muri non fossero un confine.

Grazie per la povertà, che è la cifra della scuola pubblica in quest’epoca miope: ci ha spinto a non dare mai nulla per scontato, a dare prima che a ricevere, a tirare fuori il massimo da ciascuno e il meglio da ogni cosa.

E grazie per la diversità: diversi per storie, provenienze, ambizioni, abilità, non è stato sempre scontato arrivare in fondo, salvo accorgerci a destinazione che quella fatica era gran parte del senso.

Da quelle porte è entrata tanta vita: dieci anni di vita della nostra famiglia, del nostro quartiere, della nostra comunità. Abbiamo vissuto gioie grandi, fieri orgogli, lutti da cui risorgere. Abbiamo attraversato la paralisi sociale di quest’ultimo anno e mezzo. Ne usciamo oggi un po’ cambiati, forse più maturi – noi adulti soprattutto.

Non è nemmeno l’ombra della conclusione che immaginavamo, questa di oggi, senza il calore dell’abbraccio né un testimone da passare. Eppure anche in questo ci insegni: che non ci si ferma, che non viene meno il momento. Neanche se è difficile. Neanche se manca la gratificazione.

Che tu possa ritrovare quella grazia e continuare a essere per tante altre famiglie la fonderia di comunità che sei stata per noi. Grazie.

Dicembre 3 2020

Mi cade l’occhio sulla brutta copia del tema di mia figlia. Il blocco note è quello di un precocissimo convegno di ANSA sull’informazione in rete. Gennaio 1996.

Ricordo.

Ricordo che ci andai da goffo laureando, dopo aver convinto uno scettico ma complice Franco Fileni ad accreditarmi. Ricordo che la mia tesi era un cantiere aperto, ma aveva già un titolo. Quel che resta del giornale.

Ricordo che misi in subbuglio la sicurezza presidenziale, perché il mio bagaglio finì sul cammino di Oscar Luigi Scalfaro, passato a benedire.

Ricordo l’emozione di ascoltare dal vivo Mauro Wolf e Derrick de Kerckhove. Ricordo la visione contagiosa ed entusiasta di Sergio Lepri, 76 anni all’epoca, lui da solo più avanti di un’intera corporazione.

Ricordo la sensazione già forte che al senso di possibilità e di dirompente novità che soffiava dagli Stati Uniti corrispondesse una via italiana molto più istituzionale, paludata e prudente. Diciamo.

Ricordo che quel giorno il futuro dell’informazione mi sembrava radioso. E che ero entusiasta all’idea di contribuire a costruirlo.

Agosto 6 2020

Ehi tu, figlio quattordicenne.

Proprio tu che fingi di vivere in una bolla autarchica di cui ti sei nominato imperatore assoluto e giudice supremo. Che respingi consigli e inviti vieppiù energici da parte di mamma e papà, ma con l’ironia e col sorriso, perché se la guerra dev’essere guerra purtuttavia l’eleganza dev’essere eleganza. Che violi ogni tanto la nostra trincea per nostalgia delle coccole d’un tempo, ma anche perché le battaglie di posizione alla lunga sfiancano e hai capito che i genitori indulgono nel doppio gioco. Che giochi al bastone e alla carota con la tua sorellina, per nascondere l’imbarazzo di una complicità immatura ma profonda.

Tu unico alla ricerca dell’omologazione oppure omologato alla ricerca dell’unicità, vai a sapere. Che ti accontenti di possedere interessi, affetti, possibilità, senza avvertire necessariamente l’obbligo di coltivarli e inseguirli e addomesticarli. Che dimostri di essere dotato di antenne per decifrare quel che gli interstizi delle relazioni tendono a trattenere, ma hai intuito quanta fatica possano costare e a volte provi a far finta di niente e vedere se ti dice bene lo stesso.

Tu, che al mondo per ora chiedi solo un po’ fiducia e qualche scintilla in grado di accendere la tua prossima passione, ma hai scoperto che gli adulti possono anche deludere. Che attendi l’inizio di un nuovo ciclo di esperienze e di comunità sperando si riveli clemente con la tua pigrizia e generoso con la tua immaginazione, onorando intanto con rilassato sbraco ogni scampolo di libertà residua.

Tu, che non hai paura di esplorare il mondo là fuori. E diventi perfino migliore quando lo esplori da solo. E torni entusiasta, motivato, pronto a ribaltare il tuo mondo. Almeno finché i tuoi occhi non incontrano lo schermo del telefonino. Tu che divori storie di fantascienza fino a tarda notte, sperimentando sulla tua pelle la potenza della scrittura e l’energia di un libro. Tu che hai capito quale meraviglioso passepartout possano essere le lingue e ci hai preso gusto, anche perché ti permette di fare la ruota come un pavone di fronte agli amici e recitare una parte tutta tua che ti fa vincere ogni timidezza.

Tu, proprio tu, che nemmeno immagini ancora il meglio che deve venire: tanti auguri dal tuo papà.

Aprile 7 2020

Per la cristianità sono i giorni simbolici della rinascita. Giorni metaforicamente potenti e universali, per chi ama leggere al di là dei riti e dei dogmi. Più che mai potenti quest’anno, nel pieno di una catastrofe che investe il mondo intero e un’intera idea di mondo.

Giovedì santo, l’ultima cena di Cristo con gli apostoli, la lavanda dei piedi. Una celebrazione che magari vivi con imbarazzato distacco, ma che intanto ti scava dentro. Chi vuole essere più grande, chi vuole essere il primo, si faccia servo di tutti. Non il piacere, ma la necessità di servire. Pensi ai medici, agli infermieri, agli operatori socio-sanitari, ai volontari, che si sono guadagnati sul campo e per sentimento popolare il ruolo dell’eroe di questa storia disgraziata. Pensi ai governanti senza più alcun privilegio né onore, schiacciati dal peso di una responsabilità inaudita, tanto più grandi, primi tra i loro pari, quanto più sapranno servire la porzione di umanità che è loro affidata e portarla in salvo. Pensi alla sfida posta a ciascuno di noi, nel riuscire a essere d’aiuto da dentro un isolamento forzato che annulla ruoli, identità e raggio d’azione. Pensi alla beffa di una situazione gigantesca che ai più richiede di essere grandi nel piccolissimo, avendo cura di piccole cose.

Venerdì santo, la passione lungo la via della croce. Le quattordici stazioni della via dolorosa, che in genere hanno per sfondo le mura di ogni chiesa e le vie di tanti quartieri, sono invece quest’anno le piazze vuote delle metropoli del mondo, spogliate d’ogni vita e della sostanza stessa della civiltà. Sono l’incapacità delle organizzazioni umane di concepire il mondo come epicentro dell’emergenza e mondiali i suoi rimedi. Sono le zone più derelitte della terra che sembrano risparmiate, perché la loro epidemia non ha forza di farsi notizia. Sono i senzatetto posteggiati come fossero auto. Sono la recita quotidiana dei numeri, sfinita tanto negli occhi di chi parla quanto in quelli di chi ascolta. Sono le auto che gridano ripetitive dai megafoni alle altre auto parcheggiate. Sono le file silenziose davanti ai supermercati, perché tutto quel che esce da quelle bocche potrebbe essere contagioso. Sono i lavori che continuiamo a fare dalle nostre case, per convincerci che dopo avranno ancora lo stesso senso. Siamo noi che non l’abbiamo vista arrivare finché non ci eravamo dentro fino al collo. Sono le piccole e grandi infrazioni con cui sfidiamo il coprifuoco. Siamo noi che rispondiamo con la mano sulla bocca e gli occhi spaventati alle offerte di aiuto dei nostri vicini. Sono le nostre case sprangate a nascondere il naufragio. Sono la codardia che ci impedisce di fare la differenza nelle sfide inedite di ogni giorno. Sono le morti dei nostri cari nella solitudine e senza commiato.

Sabato santo, la discesa agli inferi, il silenzio attonito, il raccoglimento disorientato, la meditazione costretta, l’introspezione che spaventa, la solitudine senza rito. Il nostro sabato dura ormai da settimane e ancora non si vede il tramonto. Giorno identico che si ripete uguale a se stesso, sfidandoci fino allo sfinimento a cavarne un senso e magari a uscirne migliori. Promessa di una luce che vincerà la notte, portata da chi l’avrà custodita e contagiata di candela in candela fino a riconoscere nella penombra la sagoma di una comunità stretta stretta, come nelle chiese durante le veglie della vigilia. Una vittoria che al bagliore del giorno non avrebbe potuto essere, perché allo scopo è necessaria la tenebra più oscura.

Domenica di Pasqua, Pasqua di risurrezione. Non esiste garanzia di risurrezione. Risurrezione non è sopravvivenza, non si risorge per tornare alla vita di prima. Non si risorge senza prima morire, almeno simbolicamente. Non si risorge fregando la morte, ma affrontandola per sperare di uscirne persone nuove in un mondo nuovo, rivoluzionari nella propria storia. Risurrezione è rinascita. Saremo capaci di rinascere da questa esperienza? Saremo capaci di farlo assieme? Sapremo interpretare il nuovo mondo che sarà riservato ai più fortunati tra noi? Sapremo consegnarlo ai nostri figli?

Felice come una Pasqua, scrive un’infermiera piemontese in una struggente testimonianza al sindaco del suo paese. Racconta di una madre in condizioni ormai critiche, disperata perché le viene negata la possibilità di congedarsi dai quattro figli amatissimi. L’infermiera spiega di averle prestato il proprio telefono e di aver improvvisato una videochiamata coi familiari. Riferisce la commozione e l’orgoglio nell’aver visto quei cerchi chiudersi appena in tempo, prima che quella vita si spegnesse, grata e tra parole di gratitudine. «Era felice come una Pasqua», dice l’infermiera, «e tu con lei». Ed è in quella felicità straziante, per quanto mi riguarda, che resta impigliato il senso di questa Pasqua straordinaria e terribile del 2020.

Marzo 24 2020

Ehi tu, decenne.

Proprio tu, che osservi con sguardo regale tuo fratello che ti porta la colazione a letto, “come ho sempre desiderato”. Tu, che aspettavi con ansia il primo compleanno a doppia cifra, ma forse non te lo immaginavi così. Che hai festeggiato per tutto il giorno sovraeccitata e radiosa calciando palloncini nello stesso salotto in cui sei venuta al mondo. Che hai ricevuto gli auguri dei tuoi compagni di classe durante la lezione online, e ti hanno cantato due volte la canzone tutti insieme e la maestra ha spento per te la prima candela che ha trovato in casa e poi papà ha cominciato a tirare su col naso perché devono essere i primi pollini nell’aria.

Tu, che hai spento le candeline sulla pizza ai wurstel del papà e sulla torta al cioccolato della mamma. Che oggi hai preparato il tuo primo gelato fatto in casa, ovviamente al gusto di cioccolato, perché la tua gelateria venderà soltanto gelato al cioccolato e di quel particolare tipo di cioccolato che dici tu. Tu, sguardo obliquo da ingegnere che insegue geometrie tutte sue nell’ordine delle cose. Dura quando giocano i duri, spaesata nei bicchieri d’acqua. Tu, che sei sempre circondata da amici e appena puoi evadi da questa casa, mentre ora sei costretta a rimanerci sempre, ma non lo fai pesare quasi mai.

Tu, che hai chiuso la giornata dicendo che è stato un compleanno bellissimo, anche se non il migliore, e c’ha detto pure bene.

Ehi tu, proprio tu, buon compleanno dal tuo papà

1 2 3 7