Se n’è parlato di recente da Luca, poi Giuseppe m’ha tirato in mezzo. Sintetizzo alcune idee un po’ radicali riguardo alla pubblicità, che valgono per me quando sono libero di scegliere. Facendo un lavoro che in molti casi è (indirettamente) finanziato dalla pubblicità, spesso mi trovo nella condizione di dover scendere a compromessi. Finora, per fortuna, sono stati piccoli compromessi.

E dunque:

  • La pubblicità può essere arte. Ed essendo una delle poche forme d’arte contemporanee economicamente molto ben sostenute, talvolta lo è davvero.
  • La pubblicità è un servizio. Serve a informare le persone su servizi/prodotti/idee che verosimilmente non conoscono e che potrebbero loro interessare. Spesso se lo dimentica.
  • La pubblicità può fare molto bene. Quasi sempre si accontenta, invece, di fare i suoi interessi.
  • La pubblicità è troppa. Quando troppe persone parlano contemporaneamente, il livello della voce sale. Anche le persone più rispettose, quando si trovano in mezzo alla confusione, devono alzare la voce e diventano moleste. Tante persone moleste insieme diventano un mal di testa. Se fossi uno che ritiene di avere cose interessanti da dire, non parlerei in mezzo alla confusione.
  • La pubblicità reagisce male alle difficoltà. Se tante persone urlano in una stanza, più di qualcuno si ritiene autorizzato a strattonare. Qualcuno pensa che, per attirare l’attenzione di chi dovrebbe fidarsi di lui, anche i calci negli stinchi siano del tutto giustificati. Quando l’approccio creativo e quello fisico non ottengono risultati, non resta che mettere in discussione la dignità. E c’è chi è ben contento di fare pure quello.
  • La pubblicità è preziosa per gli editori dei mezzi di comunicazione tradizionali, che devono sostenere alti costi di accesso ai canali di pubblicazione o emissione. I costi scendono per pubblicare online. Si azzerano per la pubblicazione di contenuti personali. Se ciascuno si accontentasse di quel che è sufficiente per operare e non desse alla pubblicità più importanza degli stessi contenuti, forse oggi la comunicazione, l’informazione, la televisione, l’economia e la cultura sarebbero migliori. Paradossalmente, la stessa pubblicità sarebbe migliore.
  • La pubblicità, con crescente malafede a partire dagli anni ’80, ha contribuito a diffondere uno stile di vita e di relazioni insostenibile. Ha reso le persone molto peggiori di quanto avrebbero potuto essere. È corresponsabile della piega criminale che sta prendendo questo mondo. E il bello è che lo ha fatto con la complicità di ciascuno di noi, che nel nostro piccolo avremmo potuto fare delle scelte.
  • La pubblicità che alza il volume anche se non potrebbe, la pubblicità che non ha rispetto, la pubblicità ovunque, la pubblicità che invade gli spazi privati, la pubblicità che pensa di essere intelligente perché arriva dove non ti aspetti, la pubblicità che si mette davanti a quello che vuoi vedere così sei costretto a guardare prima lei, la pubblicità di nascosto, la pubblicità che mente, la pubblicità che se mi guardi di sbieco io sono meglio di quell’altro, la pubblicità che gode nell’umiliare le persone e la loro intelligenza… insomma, tutta la pubblicità che nega se stessa, è quanto di peggio sia riuscito a fare di recente l’uomo su questa terra (dopo la guerra umanitaria, probabilmente). E io per questa pubblicità, che mi spinge ad arrabbiarmi e a boicottare, non ho più né tolleranza né pietà.

Fatta questa premessa, che spiega forse il mio atteggiamento comunque molto scettico, io non ho alcuna intenzione di inserire pubblicità nei miei siti personali o amatoriali. E nelle mie collaborazioni professionali, quando ho voce in capitolo, cerco di far capire che oggi – soprattutto su Internet – il meno è più, che uno solo è meglio di troppi, che rispettare i tuoi lettori a tutti i livelli è la sola strategia che ti consente di sopravvivere, che tutto ciò che non è percepibile come un servizio gioca contro di te.

Fatto sorprendente, forse ho trovato un editore che la pensa come me. Uno di questi giorni magari racconterò anche quest’altra storia.