Se n’è parlato di recente da Luca, poi Giuseppe m’ha tirato in mezzo. Sintetizzo alcune idee un po’ radicali riguardo alla pubblicità, che valgono per me quando sono libero di scegliere. Facendo un lavoro che in molti casi è (indirettamente) finanziato dalla pubblicità, spesso mi trovo nella condizione di dover scendere a compromessi. Finora, per fortuna, sono stati piccoli compromessi.
E dunque:
- La pubblicità può essere arte. Ed essendo una delle poche forme d’arte contemporanee economicamente molto ben sostenute, talvolta lo è davvero.
- La pubblicità è un servizio. Serve a informare le persone su servizi/prodotti/idee che verosimilmente non conoscono e che potrebbero loro interessare. Spesso se lo dimentica.
- La pubblicità può fare molto bene. Quasi sempre si accontenta, invece, di fare i suoi interessi.
- La pubblicità è troppa. Quando troppe persone parlano contemporaneamente, il livello della voce sale. Anche le persone più rispettose, quando si trovano in mezzo alla confusione, devono alzare la voce e diventano moleste. Tante persone moleste insieme diventano un mal di testa. Se fossi uno che ritiene di avere cose interessanti da dire, non parlerei in mezzo alla confusione.
- La pubblicità reagisce male alle difficoltà. Se tante persone urlano in una stanza, più di qualcuno si ritiene autorizzato a strattonare. Qualcuno pensa che, per attirare l’attenzione di chi dovrebbe fidarsi di lui, anche i calci negli stinchi siano del tutto giustificati. Quando l’approccio creativo e quello fisico non ottengono risultati, non resta che mettere in discussione la dignità. E c’è chi è ben contento di fare pure quello.
- La pubblicità è preziosa per gli editori dei mezzi di comunicazione tradizionali, che devono sostenere alti costi di accesso ai canali di pubblicazione o emissione. I costi scendono per pubblicare online. Si azzerano per la pubblicazione di contenuti personali. Se ciascuno si accontentasse di quel che è sufficiente per operare e non desse alla pubblicità più importanza degli stessi contenuti, forse oggi la comunicazione, l’informazione, la televisione, l’economia e la cultura sarebbero migliori. Paradossalmente, la stessa pubblicità sarebbe migliore.
- La pubblicità, con crescente malafede a partire dagli anni ’80, ha contribuito a diffondere uno stile di vita e di relazioni insostenibile. Ha reso le persone molto peggiori di quanto avrebbero potuto essere. È corresponsabile della piega criminale che sta prendendo questo mondo. E il bello è che lo ha fatto con la complicità di ciascuno di noi, che nel nostro piccolo avremmo potuto fare delle scelte.
- La pubblicità che alza il volume anche se non potrebbe, la pubblicità che non ha rispetto, la pubblicità ovunque, la pubblicità che invade gli spazi privati, la pubblicità che pensa di essere intelligente perché arriva dove non ti aspetti, la pubblicità che si mette davanti a quello che vuoi vedere così sei costretto a guardare prima lei, la pubblicità di nascosto, la pubblicità che mente, la pubblicità che se mi guardi di sbieco io sono meglio di quell’altro, la pubblicità che gode nell’umiliare le persone e la loro intelligenza… insomma, tutta la pubblicità che nega se stessa, è quanto di peggio sia riuscito a fare di recente l’uomo su questa terra (dopo la guerra umanitaria, probabilmente). E io per questa pubblicità, che mi spinge ad arrabbiarmi e a boicottare, non ho più né tolleranza né pietà.
Fatta questa premessa, che spiega forse il mio atteggiamento comunque molto scettico, io non ho alcuna intenzione di inserire pubblicità nei miei siti personali o amatoriali. E nelle mie collaborazioni professionali, quando ho voce in capitolo, cerco di far capire che oggi – soprattutto su Internet – il meno è più, che uno solo è meglio di troppi, che rispettare i tuoi lettori a tutti i livelli è la sola strategia che ti consente di sopravvivere, che tutto ciò che non è percepibile come un servizio gioca contro di te.
Fatto sorprendente, forse ho trovato un editore che la pensa come me. Uno di questi giorni magari racconterò anche quest’altra storia.
massimo mantellini
Gen 5, 2006 -
oddio….ma sto applaudendo? si si, mi sa che sto applaudendo…;) Mille grazie Sergio.
Simone Morgagni
Gen 5, 2006 -
-La pubblicità che riesce nel suo scopo perchè comunque fa parlare di sè, perchè comunque fa scalpore, perchè dopo tanto tempo pare ancora sfuggente per chi cerca di inquadrarla.
Questa benedetta pubblicità non è ubiqua, non è onnipotente, non modifica la nostra società senza lasciarci scampo.
Questa pubblicità altro non è che lo specchio più reale delle ambiguità che ci portiamo dietro.
Sono le nostre interpretazioni in fondo che costituiscono “La pubblicità”, sono le nostre reazioni che modificano “La pubblicità”. Non abbiamo niente da imparare da essa in negativo come in positivo, abbiamo soltanto da guardarci, e riflettere.
Non sono molto d’accordo questa volta; molto senso comune, molta giusta indignazione, non altrettanta sostanza forse.
Ma comprendo lo sfogo.
Andrea
Gen 5, 2006 -
sei caduto anche tu nell’inganno meglio riuscito dei pubblicitari deli anni ’80: spacciare la pubblicita’ per arte. ma la pubblicita’ non e’ arte, e’ solo un modo per vendere prodotti.
Simone Brunozzi
Gen 6, 2006 -
Wow… che dire: stavolta la segnalazione del Mante è valsa la sofferenza di tenere aperti gli occhi nonostante l’ora tarda e le 10 ore passate oggi davanti al monitor. Sergio, il tuo è un intervento che ammiro, e che condivido.
Notizie di questo editore? 🙂
Sergio Maistrello
Gen 6, 2006 -
massimo, grazie a te per quelle parole davvero troppo generose. 🙂
simone m., la vedevo come te fino a un anno fa. oggi no: oggi sono spaventato dal suo potere, dalla sua violenza e dalla generale incapacità di (volere) difendersi. ne abbiamo perso il controllo, ed esprime troppo spesso il peggio di noi. ti darei ragione se avessi contestato una specifica pubblicità, ma io non me la prendo col singolo spot, col testimonial o col pubblicitario che cercano di fare rumore. io metto in discussione il sistema, da persona che sotto sotto la pubblicità un tempo l’amava.
andrea, resto convinto che la pubblicità, una piccola parte di pubblicità, pur essendo(sacrosanto!) un modo per vendere prodotti, ha in se una genialità, una creatività e una bellezza che quanto meno l’avvicina all’arte. che sia poi arte in senso stretto o arte in senso ampio, dal mio punto di vista è poco rilevante.
simone b., grazie. ogni cosa a suo tempo 🙂
Alberto Mucignat
Gen 6, 2006 -
ben bravo. non mi resta che invitarti per l’aperitivo sabato al solito posto. ciao
Carlo Odello
Gen 6, 2006 -
Eh no caro Andrea, la pubblicità può essere arte. L’arte invece talvolta è stata solo un modo per vendere prodotti.
Squonk
Gen 6, 2006 -
Sergio, tu descrivi la pubblicità come se fosse un’entità a sè stante, dotata di vita e potere e intelligenza autonoma. Non è così. Qualcosa ne so, visto che ci lavoro dentro, anche se in una specie di nicchia.
So che la pubblicità non è altro che il prodotto del lavoro e del pensiero di molte persone. Prodotto buono o cattivo, questo è un altro discorso; criticare la pubblicità non porta da nessuna parte: criticare gli uomini e donne che la fanno o che la desiderano, invece, può servire a qualcosa.
Da ultimo: la pubblicità non è troppa. Sono troppe le aziende. Ognuna ha bisogno, per sopravvivere, di parlare al resto del mondo (a dire il vero, avrebbe ancor più bisogno di ascoltare, ma transeat). Se io, te, Massimo e cento altri ci rivolgiamo, per la natura delle cose che facciamo, alle stesse persone, tenderemo inevitabilmente a farlo nello stesso modo e negli stessi tempi. Ecco da dove viene il rumore.
Maurizio Goetz
Gen 6, 2006 -
Applausi a scena aperta, condivido interamente questo tuo post, considerando il fatto che mi occupo professionalmente di marketing. Sono anni che cerco di portare avanti questa battaglia. Questa pubblicità chiassosa, intrusiva, invadente, eccessiva non fa bene agli utenti, lo hai scritto in modo chiaro, ma io aggiungo, non fa bene nemmeno alle imprese. E’ ora di fare un passo indietro e pensare ad un marketing più usabile.
Non è la pubblicità ad essere il problema ma questa sua obbligatorietà. In definitiva è inutile urlare se dall’altra le persone non ti vogliono ascoltare. Perchè molti pubblicitari non riescono a capirlo?
Sergio Maistrello
Gen 6, 2006 -
alberto, si può fare, credo 🙂
squonk, non la descrivo come entità autonoma, o quanto meno non è così che la percepisco. è evidentemente un insieme di persone che la fanno e di persone che la ricevono, di bravi professionisti così come di markettari senza scrupoli, di pubblico informato e attivo oppure di destinatari proni e indifesi: nel bene e nel male, quello che io chiamo in modo necessariamente sintetico e forse impreciso “pubblicità” è tutto questo. discuto il valore che questo insieme di persone e dinamiche produce, a tutti i livelli. possiamo discriminare i singoli meriti e le responsabilità individuali, sarebbe forse più corretto, ma non cambierebbe ciò che avverto. al contrario, mi pare che la pubblicità abbia una grande ansia di autoassoluzione.
non è troppa la pubblicità, sono troppe le aziende: ok, chiaro, ma a mio parere non cambia l’effetto. non deve diventare un problema mio se ci sono troppe aziende e se tutte hanno necessità di farsi ascoltare, non ci deve rimettere in alcun modo la mia tranquillità. io non dico affatto che la pubblicità fa schifo, io – ripeto – amo la pubblicità: ma mi sembra evidente che abbia superato dei limiti e abbia una profonda necessità di interrogarsi sul suo ruolo e sulla sua efficacia. nel suo stesso interesse, peraltro.
maurizio, dici bene: è l’obbligo che va messo in discussione. e che, noto, è sempre la prima giustificazione di chi lavora in quel settore. siamo costretti. da chi? e perché? in nome di che cosa? chi mai ha stabilito che quest’obbligo (in realtà perfino comprensibile, per certi versi) non necessiti di limiti o, quand’anche esistessero, di osservare quei limiti?
Andrea
Gen 6, 2006 -
per tre motivi sono convinto che la tesi che la pubblicita’ sia arte sia falsa (e’ anzi, secondo me, il prodotto del lavoro dell’autoassoluzione che i pubblicitari cercano di dare del loro lavoro):
(i)la pubblicita’ si ispira all’arte, ma non lo e’: il suo fine non e’ la rappresentazione di un senso , indipendente dal significato, ma la rappresetazione (nella migliore delle ipotesi veritiera) di un prodotto.
(ii)l’arte non ha fine, trova la sua giustificazione in se stessa; la pubblicita’ ha la sua giustificazione nel prodotto. non tutti i prodotti di un lavoro creativo sono arte;
(iii) ad esempio, i giornalisti fanno sicuramente un lavoro creativo, ma ne’ sono artisti, ne’ producono arte.
Dario
Gen 6, 2006 -
Bel post Sergio! Sai che è un tema che mi appassiona dai tempi in cui noi si faceva “le anime silenziose di Internet News” (bella definizione, hehe, sarebbe meglio dire “ridotte al silenzio..”). Ci sono però tre temi che non possono essere tralasciati: 1) il rapporto tra modello di produzione editoriale e la pubblicità (a parte la cartellonistica, il resto ce lo sorbiamo tutto sui media): come fare editoria senza mktg? Tradotto: quale fonte di reddito paga il tuo, il mio lavoro? 2) La legislazione italiana sul tema e la deontologia dei pubblicitari (come ben sai è codificata in maniera molto precisa). Credo che senza catturare l’angolo cieco di questi due contesti sia difficile rendere oggettivo il discorso quando si parla di “chiasso”. E non intendo soltanto il rispetto delle regole esistenti, ma la definizione stessa di queste regole. 3) Le differenze. La “pubblicità” non esiste in assoluto. Anche Granieri, Mantellini, ecc. (sai che mi piace provocare) quando parlano di te sui loro blog ti fanno pubblicità. Non è un prodotto, ma un bene immateriale, la tua bravura. Ma è da considerare pubblicità? Qual è il discrimine? E’ una questione delicata, perché per te pubblicità vuol dire una cosa, per me un’altra, per l’UPA un’altra ancora..
Un saluto.
Maurizio Goetz
Gen 6, 2006 -
Lasciamo stare per un attimo il tema se la pubblicità sia arte oppure no, perchè non ne usciamo, troveremo tesi pro o contro a seconda della definizione di arte, è una trappola da cui non ne usciamo. Invece mi interessa molto il dibattito sulla pubblicità come produttrice di senso e di valore economico. E’ evidente che in un panorama mediale in profonda transizione, applicare vecchi modelli crea molti problemi. Il tema centrale è il superamento di un modello pubblicitario di tipo interstiziale che interrompe le esperienze di fruizione dei contenuti. Detto in altri termini in un era di scarsità mediale il punto centrale era chi parla, in un’era di abbondanza il vero problema è chi ascolta. Oggi nessuno capisce il valore dell’ascolto. Questò è il tema su cui sto lavorando da oltre dieci anni.
Maurizio Goetz
Gen 6, 2006 -
Dario pone un problema mica da poco. Che cosa è la pubblicità e cosa è la pubblicità oggi? Come sta cambiando l’utenza e come la professione del pubblicitario dovrà cambiare? Sono temi importanti che ad esempio cerco di affrontare sul mio blog. Non sono certo tenero con i pubblicitari, ma il mio obiettivo non è quello di demonizzarli ma di aiutarli ad evolversi dato che mi occupo proprio di ricerca e di consulenza sui nuovi modelli pubblicitari. E’ necessario proprio un dibattito sul nuovo ruolo che la pubblicità dovra ritagliarsi se vorrà essere credbile.
Sergio Maistrello
Gen 6, 2006 -
la parentesi pubblicità=arte, in realtà, mi interessa molto, anche se certo rischia di portarci lontano. mi piacerebbe conoscere altre opinioni in merito. io rispetto e apprezzo l’integralismo artistico di andrea, ma mi viene da pensare che – giocando con tempi e contesti forse troppo diversi – secondo gli stessi parametri avremmo difficoltà a considerare arte persino i capolavori di mozart, bach e contemporanei.
in merito al fronte sollevato da dario, invece. sul punto 1 (editoria senza marketing) i media tradizionali mi sembrano avviati in un vicolo cieco discretamente suicida. il costo del mio e del tuo lavoro (così come il senso stesso del mio e del tuo lavoro, tutto sommato), mi sembra l’ultimo dei problemi di un editore, oggi come oggi. sono alla canna del gas oppure sono obnubilati dagli enormi margini: nessuno, comunque, è pronto per un approccio più organico ed ecologico ai mezzi di sussistenza. che, dal mio punto di vista, salverebbe capra e cavoli.
sul punto 2 (codici e leggi): se dei limiti, codificati o meno, fossero anche solo superficialmente rispettati, l’intero mio discorso non avrebbe senso. è un campionato di calcio in cui tutti i calciatori fanno quello che vogliono e l’arbitro non fischia mai, mentre il pubblico è in trance. il fatto è che oggi, in questa situazione, ci perdo io. ma domani la prima vittima dell’assenza di regole sarà l’intero sistema del marketing, con ripercussioni sull’intero sistema economico. ma andiamo pure avanti così, per carità, a speculare sulle accezioni filosofiche di un concetto tanto banale come il rispetto dei propri simili e a giustificare qualunque comportamento.
sul punto 3 (definire la pubblicità) vabbé, certo, tutto è pubblicità e nulla è pubblicità. Il rilancio reciproco di attenzione tra Mantellini e me, e viceversa, è un altro paio di maniche, ed è un ragionamento che ci porterebbe fuori strada. non toglie il mio approccio di fondo: se la pubblicità resta un servizio utile che rispetta degli steccati di senso comune, ben venga. oggi come oggi, per il 90% della pubblicità che mi viene tirata addosso, non vedo né il servizio né gli steccati.
Squonk » Faccio il pianista in un bordello
Gen 6, 2006 -
[…] Di tanto in tanto, mi capita di tenere seminari o presentazioni sul marketing diretto – quella cosa che mi dà da mangiare ma che non riesco a spiegare a mia figlia (lei ha imparato che deve dire che il papà lavora in pubblicità, ma non so se ho fatto un grande affare – come si vedrà tra poco). Inizio più o meno sempre allo stesso modo: un abitante di una metropoli occidentale riceve tra mezzo e un milione di messaggi commerciali in un anno. Gli spot in televisione e le inserzioni sulla stampa sono solo una minima parte, di questi; solo sulla tastiera del mio portatile ho due loghi HP, il logo Windows, quello Intel, quello Celeron, quello Microsoft e quello WinXP. Se incontro una bloggeuse del MicroBlogGiallo, le vedo addosso tanta pubblicità quanta se ne trova sulla tuta di Schumacher. Se entro in un supermercato, ogni etichetta vale uno spot – e contate un po’ voi quante ne vedete su uno scaffale medio. Insomma, ci siamo capiti. Ora, la pubblicità (ma il termine è generico, un calderone nel quale entra quasi qualunque cosa) a tante persone sembra, semplicemente, “troppa”. C’è troppo rumore, e il rumore non fa altro che aumentare. Non solo. Tante persone hanno l’impressione che la pubblicità sia il Grande Fratello, o il Grande Vecchio, che determina i contenuti della televisione, della stampa, del web, dello sport – e, nel nostro paese, anche della politica. C’è del vero, e sarebbe stupido negarlo. Ma, prima di tutto: la pubblicità non è unentità a sè stante, dotata di vita propria. Accusare la pubblicità è come accusare un coltello: ce la si prende con lo strumento, e non con chi lo crea e – soprattutto – con chi lo usa (male). La pubblicità non è altro che il prodotto del lavoro e del pensiero di molte persone. Prodotto buono o cattivo, questo è un altro discorso, ma bisogna impostare correttamente i termini del discorso. Non solo: chi dà vita alla pubblicità, i pubblicitari e i loro clienti, o chi, ad esempio, fa la fila al freddo per entrare nei negozi di via Montenapoleone? Faccio un altro esempio. Immagino che nelle quattro settimane prima di Natale sarete stati tempestati di lettere che vi chiedevano donazioni per questa o quella associazione caritatevole: Unicef, Save the Children, Emergency, e così via. Per lavoro, conosco quelle azioni pubblicitarie; so quanti messaggi vengono spediti, quanti ritornano, quante sono le donazioni. Credetemi: funzionano. Praticamente tutte. Non funzionassero (cioè: non portassero degli “utili”, e consistenti), non verrebbero fatte. Da ultimo: la pubblicità non è troppa. Sono troppe le aziende. E’ brutto dirlo, siamo cresciuti nel mito della concorrenza, e questa ha bisogno di tanti attori. Ma ognuno di questi ha bisogno, per sopravvivere, di parlare al resto del mondo (a dire il vero, avrebbe ancor più bisogno di ascoltare, ma transeat). Fiat, Renault e Peugeot, per la natura stessa delle cose che fanno, si rivolgono (si devono rivolgere) alle stesse persone, e inevitabilmente lo fanno nello stesso modo e negli stessi tempi. E devono “alzare la voce”. Anni fa conobbi un alto dirigente di Sipra, la concessionaria di pubblicità della Rai. Mi raccontò che il suo più grande investitore, in assoluto uno dei tre più grandi in Italia, spendeva ogni anno il 20% in più di quanto gli sarebbe stato sufficiente, al solo scopo di impedire al suo principale concorrente di acquistare spazi che gli avrebbero probabilmente permesso di diventare il primo “player” del mercato. Era ed è una follia, con tutta evidenza: ma se un’azienda vende merendine, deve fare pubblicità in televisione, non ci sono santi. E se le aziende sono due (tre, dieci, cinquanta), beh, sapete bene cosa succede. Insomma, il mondo non è bello. In questo post di Sergio Maistrello (e, soprattutto, nei suoi commenti) chi fosse interessato all’argomento troverà parecchi spunti e punti di vista. Vi dico solo due cose: provate a non far dipendere il giudizio sul funzionamento del sistema dai vostri gusti e/o idiosincrasie; e diffidate dagli annunci di incipiente Armageddon. Sergio Maistrello […]
Squonk
Gen 6, 2006 -
Sergio, cito due frasi: “possiamo discriminare i singoli meriti e le responsabilità individuali, sarebbe forse più corretto, ma non cambierebbe ciò che avverto” è la prima; la seconda, invece, è “non deve diventare un problema mio se ci sono troppe aziende e se tutte hanno necessità di farsi ascoltare, non ci deve rimettere in alcun modo la mia tranquillità”. Legittimo, senza dubbio. Ma, permettimi, in questo modo il giudizio sul sistema, sul suo funzionamento, sulla sua efficienza, sulla sua utilità dipende dai tuoi gusti e/o dalle tue idiosincrasie. Non so, magari mi sbaglio, ma ho questa impressione.
Maurizio Goetz
Gen 6, 2006 -
Attenzione il post di Maistrello non era contro la pubblicità tout court, ma di un modello che non funziona più perchè non crea più valore. Vogliamo parlare di spot sempre più urlati, di affissioni che vogliono provocare perchè non hanno niente da dire, di pop up che cercano di farsi notare e sono intrusive, di campagne basate su giochi di parole ad effetto. La pubblicità è il motore di un sistema economico moderno, ma vogliamo tornare a parlare di contenuti per dar valore ad utenti e agli investitori pubblicitari? Ho trovato la posizione di Maistrello equilibrata e molto condivisibile. La pubblicità deve cambiare per l’interesse della stessa pubblicità. Dobbiamo essere onesti e non negare l’evidenza che è davanti ai nostri occhi.
Sergio Maistrello
Gen 6, 2006 -
hai ragione, squonk: il giudizio è basato sui miei gusti e sulle mie idiosincrasie. nessun annuncio di incipiente armageddon: parlavo per me, è la mia interpretazione del sistema, l’ho dichiarato in partenza. mi piacerebbe fare una conta, però. ho l’impressione che il disagio sia diffuso.
sulla base di meccanismi evidenti e perfino scontati di concorrenza, per te è sufficiente constatare che è così, che c’è una concatenazione logica tra diversi eventi, per fartene una ragione. e mi sta benissimo. a me il fatto che sia così e che sia logico non importa nulla, invece. se per conoscere tutte le merendine che vengono prodotte in italia io devo essere bombardato da un numero esponenziale e in linea teorica infinito di spot, non mi dico “chiaro, è perché la concorrenza spinge ogni produttore… ecc. ecc. ecc.”. mi dico “santo cielo, che barbarie!”. è una questione di dove metti i limiti del mondo così come lo ritieni accettabile. se mi dai dell’intransigente, non credo di poterti dare torto. 🙂
Maurizio Goetz
Gen 6, 2006 -
Vogliamo poi parlare di un modello profondamente da rivedere? Pensate alla diffusione dei DVR che consentono di skippare la pubblicità, pensate ai software anti pop up e che permettono di visualizzare i banner, pensate alla frammentazione delle audience e al fatto che ad esempio il 51% delle revenue di Tf1 in Francia (privata) siano extrapubblicitarie. I modelli tradizionali di pubblicità non reggono più. Sono stato consulente proprio di Sipra sui nuovi modelli della pubblicità delle televisioni digitali e mi occupo di questi temi da tanti anni. Ci credete che quando parlo con agenzie e centri media, loro dicono che di queste cose non gliene importa niente, ci penseranno quando sarà il momento. E’ triste dirlo, ma il mondo della comunicazione in Italia è tra i più conservatori.
[mini]marketing
Gen 6, 2006 -
Dibattito da salvare, complimenti. Nel mio piccolo:
-non credo che la pubblicità abbia cambiato il mondo. mi sembra una colpa eccessiva. sono portato a credere che sia la pubblicità che ha seguito gusti e tendenze del mondo.
-sul troppo: la pubblicità tende matematicamente a raggiungere il massimo livello di riempimento, fermandosi ad un millimetro dal crash da indigestione/rigetto: le pagine web dei giornali si riempiono sempre più di banner fino a un niente dal renderle illeggibili e quindi abbandonate in massa dai lettori; i film si riempiono al massimo possibile di spot, fino a un minuto di distanza dal livello in cui la gente spegnerebbe in massa il televisore…
non è bello, ma non è un mondo perfetto.
-noto ultimamente che piu’ il mezzo è di nicchia (penso ai vari canali tematici) piu’ la pubblicità è interessante, ‘soffice’ e piu’ contestualizzata, e quindi piu’ di servizio. Al momento la cosa è appena percettibile, ma andrebbe sfruttata a più fondo da aziende intelligenti.
gluca
Simone Morgagni
Gen 7, 2006 -
Vorrei aggiungere alcune parole ai commenti che ho letto fino ad ora e che, a mio avviso, tralasciano alcuni aspetti del problema.
Innanzitutto oggi la pubblicità non mira più a vendere prodotti, ma a creare valori comuni con il pubblico potenziale dei consumatori. Nessuna pubblicità vuole venderci qualcosa di reale, quanto creare empatia e trasmetterci il valore del brand cui si riferisce.
Vi faccio un esempio molto chiaro:
Ogni pubblicità della Barilla non vuole venderci una determinata confezione di pasta, perché non funzionerebbe, vuole piuttosto venderci il modo di essere Barilla e, di conseguenza, convincerci che possiamo giungere a quei valori, che possiamo eventualmente avere apprezzato e desiderare, attraverso laiuto del prodotto in vendita. E un meccanismo più complesso mi pare.
Inoltre la pubblicità mira a non essere invadente, perché ciò sarebbe di danno per il messaggio che vuole trasmettere, una pubblicità invadente è una pubblicità fallita, è stata fatta male. Se il messaggio che giunge allo spettatore è il fastidio che il messaggio in sé gli arreca ciò vuole dire che il messaggio pubblicitario è stato messo in secondo piano. Quindi lo spot o lannuncio ha fallito il suo scopo primo. Il problema quindi è che questa pubblicità è prodotta da persone non in grado di fare a dovere il proprio lavoro.
Vorrei inoltre continuare un poco la riflessione sulla pubblicità e su/e se come essa possa essere considerata arte partendo da uno dei punti che Andrea ha esposto:
i)la pubblicità non vuole rappresentare un prodotto, quanto esprimere un senso e farlo condividere dai propri spettatori. La rappresentazione del prodotto non è un punto rilevante e infatti non credo sia difficile trovare pubblicità esclusivamente istituzionali (non pubblicizzano prodotti, ma brand) o altre in cui i prodotti sono quasi irriconoscibili. Se vogliamo vederla in questo modo, allora la pubblicità può raggiungere lo status di arte.
Non credo inoltre che una definizione di arte o no per gli spot pubblicitari possa essere ridotta a quei tre punti. Vi chiedo, ancora usando un esempio della Barilla (scusate, ma sto lavorando su questo in questi mesi!) cosa ne pensate della pubblicità della Barilla scritta da Baricco, quella del bracciante agricolo in mezzo al campo di grano che affila la sua falce con la pietra e vede passare un esercito prima di rimettersi a raccogliere il grano. Questo spot non pubblicizza prodotti, trasmette solo i valori della marca (tradizione, italianità, rusticità, tradizione e una certa dose di conservatorismo). Qui come spieghiamo allora il senso del messaggio? E nelle nuove forme pubblicitarie inserite allinterno dei film o dei videogiochi? Dove è il confine con larte?
Non mi sembra che esso sia così chiaro e mi pare che in tanti abbiano una visione della pubblicità un po stereotipata a volte.
Segnalo inoltre a tuttilultimo numero della rivista Ocula
http://www.ocula.it
Tratta appunto di questo tema credo in maniera molto corretta.
carla
Gen 7, 2006 -
Commento affrettato sullultimo intervento di Simone.
Scrivi che oggi la pubblicità non mira più a vendere prodotti, ma a creare valori comuni con il pubblico potenziale dei consumatori. I valori che la pubblicità vuole condividere col consumatore non mi piacciono nemmeno un po.
Penso che la pubblicità debba ascoltare le richieste dei consumatori e in questo Internet potrebbe esserle di grande aiuto.
Scrivi che una pubblicità invadente è una pubblicità fallita Prendendo in prestito da Maistrello: la pubblicità non ha rispetto, è ovunque, invade gli spazi privati, è nascosta, mente, ma soprattutto, come anche tu scrivi, nega se stessa.
Sergio, sottovoce, dice che per lui i limiti di un mondo accettabile sono superati, lo sono anche per me e, probabilmente, per altri.
Credo che un altro mondo è possibile solo quando diventa necessario: quando linsopportabilità del presente diventa una corda che si spezza. M. T.
Denunciare il presente mi sembra una gran bella cosa 🙂
Maurizio Goetz
Gen 7, 2006 -
Mi perdonerete se intervengo nuovamente, ma desidero riallacciarmi a quanto scrive Simone che ha aggiunto nuova “carne sul fuoco”. Il reale problema non è la pubblicità tout court, ma l’esperienza finale del cliente. Mi spiego meglio.
Prendiamo ad esempio una campagna straordinaria come quella di Telecom Italia(quella di Gandhi per intenderci), è senza dubbio uno degli esempi più alti che se non è arte, vi è molto vicina. Ebbene da una parte i clienti vivono i valori del brand e le relative promesse, mentre dall’altra si trovano scaraventati nella durà realtà dell’esperienza in un punto vendita Telecom oppure nel call center di Telecom Italia(faccio questo paragone proprio perchè l’ho fatto recentemente in un mio seminario al management di società del gruppo Telecom Italia). Oggi non si tende più a ragionare solo in termini di marketing mix, ma soprattutto in termini di touch point, dove per touch point si intende ogni momento e luogo di contatto in cui i clienti attuali e potenziali entrano in contatto con un brand. Oggi la maggior parte di queste esperienze sono completamente disallineate. Succede con Fiat, con Trenitalia ecc. Quindi il discorso pubblicitario che stiamo affrontanto, pur importante dovrebbe essere allargato. E’ l’intero marketing che dovrebbe fare un passo indietro e tornare ad essere più usabile. Il marketing è la pubblicità sono per loro natura ingordi ed invadenti, occorre che imparino il senso della misura,come gli interventi che mi hanno preceduto hanno fatto giustamente notare. Migliorare la sola pubblicità, senza curarsi del disallineamento tra quanto promesso (attraverso la pubblicità) e quanto mantenuto (attraverso tutti i punti di contatto), vuol dire compiere a mio giudizio solo un lavoro a metà.
Rossella
Gen 7, 2006 -
Grazie di queste riflessioni. A tutti.
Personalmente mi sono sempre considerata una pubblivora; spesso, e spero qui di non scatenare le ire di alcuno, amo più gli spazi pubblicitari (siano essi televisivi o cartacei o…) dei programmi televisivi e degli articoli stessi in cui questi si inseriscono.
Lasciando da parte questa considerazione mi permetto da ‘non addetta’ ma semplice fruitrice di inserirmi nel dibattito arte/non arte.
In effetti si tratta di un tema caldo e sul quale rifletto spesso. Qualcuno dice arte sì qualcuno arte no, io ho interrogativi diffusi: ma se la pubblicità non è arte perchè ha il ‘semplice’, mero, unico scopo di vendere… allora come la mettiamo con quegli spot che ahimè vengono ricordati per le immagini, l’ironia , la musica ma non certo per il prodotto pubblicizzato? Poveri creatori poveri produttori… saranno poi stati pagati dall’azienda committente? Loro hanno fatto colpo, tutti si ricordano quella pubblicità, ma non certo cosa volesse vendere… Bel dilemma: quella è una pubblicità ‘valida’? Forse visto che nessuno si ricorda il prodotto ( e che quindi non voleva vendere…o non è riuscita a vendere) quella potrebbe essere considerata arte, alla stregua di un corto(issimo)metraggio, no?
Rossella
Simone Morgagni
Gen 7, 2006 -
Rispondo in maniera rapida rapida sia a Carla che a Maurizio.
Capisco Carla quando dice che i valori che la pubblicità propone non gli piacciono nemmeno un po, ma a questo punto le pongo un quesito ulteriore. Secondo te, davvero la pubblicità si prenderebbe il rischio di creare valori? Non è più facile che assecondi delle tendenze già in atto nella società? Mi spiego; solo uno spot creato davvero a regola darte sarebbe in grado di modificare realmente le attitudini del consumatore, e forse nemmeno quello, più facile trovare lesempio opposto, forse che gli spot della D&G con la loro trasgressione volgarotta non si rivolgono ad un pubblico che è effettivamente fatto in quel modo per fidelizzarli attraverso la creazione e la condivisione del medesimo universo di valori? Mi pare più probabile. Quindi la causa del degrado è al 99% antecedente allintervento del pubblicitario.
Secondo punto; davvero la pubblicità deve ascoltare il consumatore? A che pro? E utile ascoltarlo solo in caso di fallita per vedere dove si situava lerrore, altrimenti per un marketor il consumatore è solo una cifra di dati e statistiche e lobiettivo è vendere un qualcosa, un prodotto a volte, un valore più spesso, fumo altre volte. Ed è sempre stato così, in vari modi per adattarsi alle epoche, ma non è cambiato. Non confondiamo leconomia con lutopia. Anche a me piacerebbe una pubblicità che mi ascolta e consiglia, ma non è il suo scopo, al massimo può ascoltarmi per fregarmi meglio
Terzo punto; la pubblicità è ovunque ed è fastidiosa perché il 90% è fatta male e da persone che non sanno fare il loro lavoro, quindi nega se stessa e genera fastidio. Questa colpa è delle industrie e dei pubblicitari mal preparati. Le poche campagne ben fatte (Playstation con Lynch, Barilla con Tornatore, Telecom con Spike Lee, e D&G ad esempio) ce le ricordiamo tutte perché emergono dalla mediocrità.
Ultimo appunto; la parola indignazione. Secondo me in un paese come il nostro serve a poco. Perché non cè la cultura di massa necessaria a farla funzionare. Qui in Francia quando la popolazione si indigna per una legge o per una decisione governativa succede il finimondo e la legge viene abrogata a furor di popolo. In Italia quando qualcuno si indigna non succede niente, perché la maggioranza, scusatemi, se ne strafrega. E basta guardare gli avvenimenti quotidiani, da chi parcheggia nei posti riservati agli invalidi ai ritardi dei treni (qui torna la mia matrice di pendolare Trenitalia!) alle decisioni discutibili del governo. Non cè quindi la cultura per limitarsi allindignazione. Occorre capire ed agire in maniera più diretta, ma prima occorre comprendere i meccanismi del gioco. Qui a Parigi cè un collettivo che modifica le pubblicità nel métro appena vengono affisse, il loro effetto è maggiore di ogni indignazione perché sanno come muoversi. E spesso fanno un migliore lavoro delloriginale, proponendo idee positive
Indigniamoci, ma non fermiamoci lì.
Il disallinenamento che nota Maurizio inoltre credo sia reale ed evidente, ma mi permetto di dirgli che, purtroppo, la scelta è stata pubblicitaria anche in quel senso. Le maggiori aziende internazionali stanno ora commissionando analisi per rendere i loro punti vendita e i loro servizi comuni al brand che hanno costruito. Ma è unimmagine di facciata. Ci sono pubblicitari e architetti dinterni che stanno ri-progettando gli shop per renderli conformi al valore dellazienda, ma di facciata, per il cliente che entra e deve respirare i valori di marca. Profumi nellaria quindi e disposizioni strategiche per ingannarci in qualche modo, senza cambiare pelle. Il problema è che sarà un lavoro fittizio, non sostanziale, e quindi nasconderà solo i problemi invece di risolverli. E un peccato che ci sia rivolti al marketing anche in questo caso, ma è la soluzione meno dispendiosa pare; il loro prendere la misura sembra essere un andare ancora più oltre
Minipost per Rossella: quando non ti ricordi il prodotto probabilmente la pubblicità non voleva fartelo ricordare, ma ti ha trasmesso dei valori e lha fatto in maniera perfetta, perché sono le uniche che ti ricordi. Io a quel pubblicitario darei un bel bonus sulla busta paga, perché il suo lavoro è perfettamente riuscito! Ma esiterei a parlare di arte (che poi larte contemporanea prodotta per andare direttamente in galleria e quindi creata per la vendita Quella come la consideriamo?
Sergio Maistrello
Gen 7, 2006 -
Tra i tanti spunti degli ultimi interventi, per cui vi ringrazio davvero tutti, ne riprendo uno: la pubblicità non crea valori, la pubblicità identifica tendenze già in atto e le rilancia, dunque la causa è preesistente. Corretto, immagino – per quanto a me questa linea di autoassoluzione che informazione, cultura, politica e marketing tirano fuori a ogni occasione non convinca più tanto.
Trovo che questo modo di vedere le cose non tenga in debita considerazione la potenza di fuoco del marketing, il potere unidirezionale nel rilanciare idee e stili, la scorciatoia vincente nel dare vita a immaginari collettivi su vasta scala. La pubblicità non è una conversazione, è un monologo furbo: di conseguenza non parlerei proprio di un naturale processo di diffusione delle tendenze già in incubazione dentro la società. Senza contare che non tutte le tendenze sono prese in considerazione, ma solo quelle che fanno comodo perché di facile presa (in genere le più sdolcinate o le più volgarotte). Il che, secondo me, un effetto non sul singolo ma sulla società nel suo complesso ce l’ha eccome.
Webgol
Gen 7, 2006 -
Bicicletta e palombaro e la morte dell’audience
Segnalo due cose al volo, perchè mi trovano in profonda sintonia. Il primo, letto in vacanziero ritardo, proviene dall’ultimo Contrappunti di Massimo Mantellini sul glorioso Punto Informatico, è un comma che si intitola “il giornalismo dei cittadini…
Casual.info.in.a.bottle » Blog Archive » OT – Piccoli spunti sul mondo…
Feb 2, 2006 -
[…] Che cosa penso della pubblicità […]
Spamminchiamento Sergio Maistrello
Ott 31, 2006 -
[…] Io detesto lo spam con tutte le mie forze. È una di quelle cose che non risco a prendere con il distacco e l’umorismo necessari, forse perché alla fin fine è la degenerazione delle degenerazioni della pubblicità (rispetto alla quale la mia opinione è ben nota). E tuttavia, non posso fare a meno di riconoscere la creatività tecnologica, il colpo di genio stilistico, l’inventiva nel superare qualunque ostacolo per far arrivare comunque con un inchino e uno sfottò un messaggio davanti ai tuoi occhi. A volte, poi, il cortocircuito tra frasi di senso compiuto generate in automatico, localizzazioni in lingue nazionali messe in piedi a casaccio, sostituzioni di lettere con numeri dalla forma compatibile per beffare i filtri, separazioni tra le sillabe delle parole e quant’altro passi per la testa di quei quattro criminali genera risultati soprendenti. Quello di stamattina è un capolavoro, nel suo piccolo. Un amminchiamento dello spam che strappa la risata e l’applauso insieme: Sei pronto ad aumentare il Suo reddito? […]
Metafora della pubblicità Sergio Maistrello
Dic 20, 2006 -
[…] Alla fine di un vecchio post avevo lasciato un concetto in sospeso. Oggi, di là, abbiamo lanciato un sassolino nello stagno. […]
sonia
Gen 7, 2007 -
grazie ragazzi con i vostri discorsi mi avete aiutata a fare un tema scolastico che ha avuto molto successo dato che ho preso 9 1/2 ;
comunque colgo l’occasione per farvi gli auguri di anno nuovo!!
ciao ciao sonia
Design Conversations » Blog Archive » Il futuro della pubblicità
Mar 30, 2007 -
[…] L’altra faccia della medaglia è ben rappresentata da alcune considerazioni sulla pubblicità di Sergio Maistrello, appena suggeritemi da Mauro. La pubblicità è troppa. Quando troppe persone parlano contemporaneamente, il livello della voce sale. Anche le persone più rispettose, quando si trovano in mezzo alla confusione, devono alzare la voce e diventano moleste. Tante persone moleste insieme diventano un mal di testa. Se fossi uno che ritiene di avere cose interessanti da dire, non parlerei in mezzo alla confusione. […]
Design Conversations » Blog Archive » Il futuro della pubblicità
Mar 30, 2007 -
[…] L’altra faccia della medaglia è ben rappresentata da alcune considerazioni sulla pubblicità di Sergio Maistrello, appena suggeritemi da Mauro. La pubblicità è troppa. Quando troppe persone parlano contemporaneamente, il livello della voce sale. Anche le persone più rispettose, quando si trovano in mezzo alla confusione, devono alzare la voce e diventano moleste. Tante persone moleste insieme diventano un mal di testa. Se fossi uno che ritiene di avere cose interessanti da dire, non parlerei in mezzo alla confusione. […]
Design Conversations » Blog Archive » Il futuro della pubblicità
Apr 2, 2007 -
[…] L’altra faccia della medaglia è ben rappresentata da alcune considerazioni sulla pubblicità di Sergio Maistrello, appena suggeritemi da Mauro. […]
.commEurope » Blog Archive » Pubblicità sì, pubblicità no, la terra dei cachi…
Giu 10, 2007 -
[…] Tra i numerosi visti negli ultimi giorni, l’intervento più brillante è quello di Sergio Maistrello, che riesce a riassumere pregi e difetti del mondo pubblicitario: né demoniaco né angelico, è uno spaccato della più ampia realtà economica, come i numerosi commenti al post sembrano voler dimostrare. Ciò che dà fastidio, peraltro in maniera assai condivisibile, è l’esagerazione, l’invasione a gamba tesa di annunci che si travestono, si nascondono ed esplodono a sorpresa in contesti comunicativi magari di tutt’altro tenore: questo vale per qualsiasi media, così come vale per i blog e la Rete più in generale. L’onestà premia, il disturbo distrugge: alzi la mano chi compra con piacere la merce di chi gli arreca fastidio. […]
Appunti da Web 2.0ltre (e dintorni) Sergio Maistrello
Giu 15, 2007 -
[…] Pubblicità 1.1. Enrico Gasperini è stato bravo e coinvolgente. Ma da presidente di Audiweb ha fatto il suo mestiere, ovvero ha parlato della pubblicità degli investitori tradizionali che utilizzano strategie tradizionali all’interno di canali poco meno che tradizionali. Dunque dentro i banner, il marketing virale, il passaparola artificiale. Zooppa, tutt’al più, è la terra di confine. ReviewMe, Pay-per-post, Federated Media – per non parlare dell’unico vero avamposto di pubblicità 2.0, ovvero quel The Deck a cui nel mio convegno ideale dedicherei un’intera mattinata di studio – nemmeno di striscio. Molto si è detto di cost per click/impression/action, durante il convegno, ma non ho sentito un solo relatore citare anche solo per caso il cost-per-influence. Come se non bastasse, a un certo punto Gasperini ha rimarcato la difficoltà di raggiungere con la pubblicità online le fasce più giovani, perché i loro modelli d’uso di Internet sono talmente estremi, rapidi e peculiari da lambire appena le vie battute dai grandi investitori. È un bel problema! Questi qui come li andiamo a colpire?, si è lasciato candidamente sfuggire Gasperini. E io, che avevo un microfono acceso davanti alla bocca durante la sua pausa ad effetto, mi sono morso la lingua giusto un attimo prima di notare ad alta voce che non è mica obbligatorio colpirli, che non è certo un servizio pubblico e che forse potremmo anche lasciarli in pace, poracci. Ma è evidente che io ho un problema consolidato con la volgarità dei termini di marketing (colpisci tua sorella, se t’aggrada) e con le pretese universali dei pubblicitari rispetto alla necessità di raggiungere sempre e comunque tutti, notte e giorno, in qualunque contesto, a qualunque costo. […]
kikka
Ott 12, 2007 -
secondo me la pubblicità è unika xkè ti offre mondi nuvi e vivi e poi cè ki può permettersi di comprere le marche e ki no
io si
mery
Gen 7, 2008 -
ragazzi grazie di tutti i vostri kommenti….ho fatto un tema straordinario…bello…grazie ankora
sasa
Gen 28, 2008 -
se leggete io mio commento grazie perchè mi avete aiutata con una relazione scolastica altrimenti sarei stata nei casini. grazie ancora raga!……
kla_1515
Feb 3, 2008 -
ciao a tutti ankio dovrei fare un tema sulla pubblicità…ma il fatto è che non so cosa scrivere…e dei vostri commenti non capisco molto forse perchè ritengo che da una parte la pubblicità è giusta..soniaa come hai fatto a prendere 9 1/2?????????????so che non mi risponderete subito e quindi il mio tema che farò non sarà sicuramente chissà che..un saluto da claudia
BRUNO
Gen 4, 2010 -
LA PUBBLICITA’ E UNA COSA CHE RITENGO UTILE MA QUANDO SONO SUL PC E’ TROPPO INVADENTE — SE MI ARRIVASSE DOPO QUANDO CHIUDO MI STAREBBE ANCHE BENE MA NON DURANTE LA NAVIGAZIONE — COME POSSO FARE IN MODO CHE ARRIVI SOLO ALLA CHIUSURA DEL SITO ?
Il meno è più | Il blog nella didattica
Ago 19, 2011 -
[…] Maistrello racconta cosa pensa della pubblicità e si apre una bella discussione.Mi appunto gli interventi di […]
Blog e pubblicità
Nov 10, 2012 -
[…] blog: Sergio Maistrello, autore del libro "come si fa un blog", ne parla –> qui. Tra i commenti ci sono le riflessioni, tra gli altri, di Mantellini (manteblog), Goetz (marketing […]
Blog e pubblicità
Nov 10, 2012 -
[…] blog: Sergio Maistrello, autore del libro "come si fa un blog", ne parla –> qui. Tra i commenti ci sono le riflessioni, tra gli altri, di Mantellini (manteblog), Goetz (marketing […]
jonny
Apr 7, 2013 -
bravo molto bravo……:)
Questa non è pubblicità, è fiducia – LorenzoC
Gen 20, 2015 -
[…] In più, viene da Sergio. E io mi fido di Sergio e di quel che scrive. […]
Giuseppe Cipriotti
Feb 24, 2017 -
Ormai da molto tempo ogni volta che c’è la pubblicità spengo laudo, mi si rivolta lo stomaco a sentire le stupidaggini che ci vengono inculcate
Xche non usate persone normali x pubblicizzare, i soliti personaggi famosi (ma x chi) oltre che già sono ricchi gli vengono dati altri soldi , mentre la povera gente va nella spazzatura a cercare da mangiare e l’ora di cambiare,Vi riconosco che con le trasmissione di denuncia avete già fatto e state facendo tanto. MA BASTA CON QUESTA PUBBLICITA INGANNEVOLE.
Montagnino Fabio
Giu 20, 2018 -
Io non capisco perché durante la cena quando uno mangia ti devono fare la pubblicità Parodontax dice essa butti del sangue ti lavi! E uno difficilmente fa’ calare il boccone, oppure Imodium ti viene la diarrea! E ti viene lo schifo proprio a pranzo quando mangi. Oppure il TenaLady hai delle perdite di urine ma che schifo! Mentre mangi pensi la pipi abbrustolita di qualcuno!. Oppure ti parlano gabbietta del water quando mangi dove si vedono i batteri nel quali li puntualizzano! Dico io! Per favore questi tipi di pubblicità fateli ad orari decenti no pranzo o a cena